Il Cardinale, presso la sede della Fondazione Internazionale Oasis, ha preso parte alla presentazione del volume di Massimo Guidetti. Il suo metodo storico e di ricerca può insegnare molto anche alla metropoli attuale, ha detto l’Arcivescovo
di Annamaria BRACCINI
La chiusura e l’ottusità verso l’Islam, visto come una curiosità o come l’oggetto di uno studio molto spesso superficiale.
Ma poi, si può scoprire, che qualcuno, anche in secoli come il Settecento o l’Ottocento, ha guardato al mondo musulmano nel profondo e, interrogandosi, ha lanciato ponti. Quelli che, anche oggi, sono di esempio e di insegnamento per superare i muri dell’indifferenza e della sciatteria intellettuale.
Tanto che, per il cardinale Scola, Milano è pronta ad accogliere gli immigrati, a sviluppare una riflessione (e, magari, soluzioni di vera vita buona) per un domani che è già qui. «A patto che tale accoglienza sia programmata ed equilibrata, che ognuno faccia la sua parte e che la politica non combini guai, scadendo rispetto al suo ruolo di arte del compromesso nobile».
Occasione per parlare di tutto questo, in un incontro dal titolo “Milano e l’Islam. Alla ricerca di un nuovo stile”, la presentazione, presso la Fondazione Internazionale Oasis, voluta dal Cardinale stesso una quindicina di anni fa, del bel volume dello storico e ricercatore Massimo Guidetti, “Milano e l’Islam. Conoscenza e immagini di arabi e turchi tra primo ’800 e primo ’900”. Un saggio, frutto di molti studi che, con un apparato di note e riferimenti bibliografici preziosi (per Medusa Editore), ripercorre una storia lunga qualche secolo e poco conosciuta fino a ora.
E, allora tra il giornalista del “Corriere”, Lorenzo Cremonesi, da venticinque anni in Medio Oriente come inviato che delinea un quadro di luci e ombre – «la Milano ottocentesca è molto meno aperta all’Islam che Napoli o Venezia, perché non è capitale e non fa politica, è interessata poco o nulla a quello che avviene nel Mediterraneo, perché non ha un porto» – il docente di Lingua e Letteratura araba della “Cattolica”, Paolo Branca che modera la serata e l’autore del saggio, l’Arcivescovo esprime stima «per la modalità con cui Guidetti fa storia». Dice, infatti, il Cardinale: «È cosa grave che a Milano non si pensi a un’istituzione di rango universitario – presente nelle altre grandi capitali europee e non solo – che studi la realtà dell’Islam e dell’Oriente cristiano nella metropoli lombarda».
Per questo, spesso, nella “città del fare” – suggerisce – si rilanciano idee di altri rimanendo nella superficialità dei giudizi e non si produce qualcosa di nuovo o innovativo, per cui «si può dire che le nostre idee sui tre maggiori attori mediorientali non sono poi molto mutate negli ultimi due secoli».
«Ciò è, forse, ancora il portato di quell’approccio contraddittorio del quale, anche di fronte al fenomeno dell’immigrazione di oggi, portiamo le conseguenze. Non fare velo su questo è il grande merito di un fare storia così concepita».
Il pensiero paradigmatico è per il Fondo di manoscritti e codici yemeniti della Biblioteca Ambrosiana, «probabilmente il più ricco di Europa e uno dei primi al mondo, ma ancora largamente inesplorato».
Poi la riflessione sulla possibilità specifica di Milano di aprirsi con consapevolezza all’integrazione con i musulmani – «meno facile che con altri, come i cileni, i peruviani, gli srilankesi, i filippini, per la situazione specifica della convivenza tra Occidente e Medio Oriente», ma ormai pienamente possibile.
«Noi facciamo, come Chiesa la nostra parte, ma tocca alle Istituzioni fare la loro nell’affronto del fenomeno. Il terzo soggetto è il più importante di tutti: la società civile in cui l’integrazione è un fatto da 40-50 anni, come sta avvenendo nelle scuole e negli oratori. Certo, la politica ci mette del suo, tuttavia Milano è pronta all’accoglienza. La mia impressione è buona, ma l’Italia, visto che sarà interessata in maniera forte dal fenomeno, deve presentare in Europa – da cui non deve aspettarsi tutto –, un progetto organico a livello politico». Magari seguendo l’esempio della Chiesa, che «come il Concilio ha detto, vive dentro la polarità fondamentale Chiesa Universale-Chiese particolari, tanto è vero che Milano è l’unica grande metropoli in cui non è mai stato chiesto in modo significativo una divisione in altre Diocesi, perché il Rito ambrosiano fa da collante in senso profondo. Tutti abbiamo bisogno di un nuovo ordine mondiale. Sarebbe molto importante che le Istituzioni civili guardassero all’esperienza della Chiesa e ne ricavassero nuove forme democratiche. In questo orizzonte la Milano di oggi può dire molto, perché resta in Italia, un luogo privilegiato di esperienza e di riflessione».
Parole condivise da Guidetti per il quale «nel rapporto tra la città e il mondo mediorientale si parlava e si parla, in riferimento all’Islam, di geopolitica delle differenze, ma pochissimo di Milano e di come, nel concreto tessuto di una metropoli tanto significativa per l’Italia e il mondo, non si fosse mai cercato di capire e, forse, non lo si faccia ancora». Una ricerca, quella di Guidetti, che ha richiesto, «un modo trasversale di procedere, con ricerche finalizzate a parlare di una città che non aveva scuole arabe o tradizioni di incontro con questi mondi, quasi come conseguenza di qualcosa di altro, di simile a ciò che sta accadendo adesso con l’Islam: nessuno si aspettava un fenomeno rilevante per la società, ma poi bisogna fare i conti con ciò che c’è nella realtà».
Dunque, un’analisi che affonda le sue radici nei tempi passati, ma scritta per l’attualità: «Questo ha voluto dire passare attraverso vari contesti – nell’Ottocento la Biblioteca di Brera, che negli anni ’40 del secolo aveva avuto un ruolo di traino –, e soprattutto l’“Ambrosiana”, che aveva come obiettivo il tema cristiano nella sua interezza, interessandosi anche dei mondi altri nella loro dimensione religiosa. Così ho potuto rintracciare due generi di atteggiamenti: da un parte chi non è stato cambiato dagli incontri con il modo arabo, poiché sicuro della forza della propria cultura, altri che, invece, ne furono scalfiti in modo significativo».
Da qui, la rilettura di vicende umane che, solo in apparenza romantiche, rivelano, tra le pagine, la loro forza di esemplarità anche per il presente. Continua, infatti, l’autore: «È vero che la maggioranza delle testimonianze raccolte ci dicono di poca comprensione, ma ogni tanto si hanno degli squarci di apertura interessanti, come Cristina, principessa di Belgiojoso, o il nipote di Manzoni, Renzo. La prima, avendo assunto a Parigi la mentalità francese, andò a Costantinopoli e nell’altopiano anatolico dove impiantò un’azienda agricola acquistando un occhio di simpatia e ci compassione per la vita dei contadini turchi e facendo propria la causa della parte femminile della popolazione. Sfatò, ad esempio, il mito dell’harem, definendolo un luogo triste dove le donne invecchiano senza possibilità di esprimersi e di maturare. Il secondo, che scrive il primo libero italiano sullo Yemen, dove arrivò e soggiornò, sostenuto dalla Società per il Commercio di fondazione milanese. Facendo anche fotografie, si accorse di una realtà che non era solo quello del deserto e capì che per comprendere quella cultura occorreva partire dalla religione. Voleva restare ma la neonata imprenditoria milanese gli tagliò i fondi e fu costretto a tornare in Italia, trasferendosi a Roma dove sperava di trovare udienza. Milano ne restò impoverita. Acquisire l’idea che le popolazioni del Medio Oriente siamo capaci di bello, lo ritengo uno strumento contro l’afonia mentale diffusa e un mezzo per tentare di governare il mondo in cui ci troviamo. Per questo, per l’oggi e il domani ho voluto scrivere il mio libro. Speriamo. Inshallah».