Il taglio del Comune di Milano dei fondi per i progetti di reinserimento globale delle persone con disagio mentale compromette il binomio essenziale tra dimensione sanitaria e sociale

di Paola SONCINI

disagio-mentale

La salute mentale non è una questione esclusivamente sanitaria. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ci ricorda che la salute mentale è uno stato di benessere nel quale la persona può realizzare il suo potenziale, affrontare le tensioni normali della vita, lavorare in modo produttivo e dare il suo contributo alla comunità-collettività. La promozione di queste condizioni di vita non può essere esclusivo appannaggio della dimensione sanitaria: c’è infatti una dimensione sociale, relazionale e lavorativa la cui originalità va salvaguardata, e che gioca un ruolo essenziale nella vita delle persone affette da disturbo mentale. Per questo motivo, accanto al contributo economico a carico delle Regioni per lo sviluppo di adeguate politiche sanitarie, sono fondamentali i contributi che i Comuni sono chiamati a offrire, a favore dei percorsi di inclusione sociale, abitativa, lavorativa dei propri cittadini fragili.

Questa premessa è la cornice all’interno della quale collocare la recente scelta del Comune di Milano di tagliare dal proprio bilancio una parte delle risorse del welfare, in particolare quelle che da anni sostengono i progetti di reinserimento sociale, lavorativo e abitativo delle persone con disagio mentale. Sono tagli che, secondo il comunicato stampa emanato nei giorni scorsi da diverse realtà del Terzo settore (e non solo), «impattano sia sul Fondo Sociale che il Comune mette a disposizione dei Centri psicosociali, gestiti dai Dipartimenti di salute mentale milanesi, per realizzare i tirocini lavorativi e per i sussidi ai cittadini in particolare difficoltà economiche; sia sui progetti territoriali a titolarità dei Dipartimenti di salute mentale milanesi, gestiti spesso in collaborazione con enti del terzo settore».

Ricadute negative sulla città

Sebbene da anni si ripeta che «non c’è salute, senza salute mentale», aleggia ancora una certa fatica nel comprendere che la cura della salute mentale è premessa per ogni tipo di salute. E che un taglio in questo settore può avere ricadute importanti a cascata sul benessere di un’intera città, inclusa la Milano che pur si sforza di accogliere e curare. Se i cittadini in carico ai servizi sanitari sono senza casa, senza lavoro, senza percorsi di inclusione, il livello di stabilizzazione clinica raggiunto rischia di essere messo in discussione e di non poter essere mantenuto. Rischiano di rimanere cittadini a metà, con una dignità amputata. Persone per le quali rischia di non potersi rivelare attuabile l’articolo 4 della Costituzione, secondo cui «ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società».

Un esempio significativo dell’importanza di declinare al meglio il binomio dimensione sanitaria – dimensione sociale è il programma riabilitativo “Residenzialità leggera”, che ha visto la sua nascita in Regione Lombardia nel 2007. È un progetto che si realizza, sin dalle sue origini, grazie all’integrazione di una retta sanitaria (per la parte di cure mediche) con una quota sociale (per la parte sociale).

Programmi come questo permettono a persone clinicamente stabilizzate, che escono dalle comunità residenziali, di vivere in appartamenti che sono civili abitazioni e di fare un percorso di autonomia, che poi sfocia nell’housing sociale. La quota sociale è necessaria per pagare il vitto e l’alloggio. Come potranno proseguire questi programmi riabilitativi, se a seguito della scelta del Comune di Milano la dimensione sociale verrà azzerata per i nuovi ingressi?

Una via all’autonomia

Questi percorsi riabilitativi non si configurano né come progetti attuati grazie a un bando, né come progetti estemporanei, di durata limitata nel tempo, per esempio annuale. Sono invece una preziosa via all’autonomia, che necessita di tempi forzatamente lunghi e si fonda strutturalmente su due gambe: senza una di queste, ovvero la dotazione sociale, il percorso può solo andare a spegnersi, e questo sarebbe una grave perdita anche per la salute (mentale) della città. Da non sottovalutare, poi, il rischio che a seguito dei tagli odierni, i criteri di ingresso ai programmi riabilitativi diventino prevalentemente di tipo economico, quindi attivabili solo per chi può assumersi l’impegno di contribuire per la quota tagliata dal Comune. Sofferenti di disagio psichico, e per di più indigenti, o comunque senza sufficienti risorse per pagarsi l’autonomia e la dignità: un doppio rischio di esclusione, che la civile Milano non può permettersi di incentivare.

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