Dal Rwanda alle baraccopoli dei braccianti agricoli nel Mezzogiorno le proposte di Adp per un’esperienza estiva. Formazione alla mondialità, progetti nelle scuole e servizio civile
di Veronica
PASTARO
L’Africa, un manipolo di giovani, un sacerdote carismatico. Così inizia il sogno di Amici del Rwanda, con un’estate di volontariato nel cuore del Continente Nero. Nessuno di quei ragazzi di Treviglio poteva immaginare che proprio da quella partenza, nel 1974, avrebbe preso vita un’associazione di respiro internazionale: oggi è una Ong che «sogna un mondo più equo e vivibile per tutti» (si legge sul loro sito www.amicideipopoli.org), e per questo ha pensato negli anni di cambiare nome in Amici dei Popoli (Adp), per allargare il suo sguardo e il suo abbraccio al mondo intero. «Don Ferdinando Colombo è una persona eccezionale. Con il suo carisma è capace di motivare le persone a impegnarsi e a spendere la propria vita per gli altri», racconta Stefano Carati, presidente di Adp e nella vita bancario. L’incontro fra i due è avvenuto nel 1978, quando il sacerdote salesiano è stato trasferito a Bologna e ha pensato di trapiantare nella parrocchia di Stefano il cammino già avviato.
Ben presto il richiamo del Rwanda è stato inarrestabile anche per i giovani emiliani, che hanno deciso di abbracciare l’esperienza estiva: un mese per mettersi al servizio, realizzando attività a sostegno delle comunità locali e spendendosi nell’animazione dei bambini durante i patronage, gli equivalenti dei nostri oratori estivi. «Il resto lo fa il mal d’Africa. Oltre alle bellezze naturalistiche, sono le relazioni con le persone che ti prendono il cuore. Il risultato di un mese vissuto così è che problemi astratti come la fame, la povertà e le disuguaglianze sociali assumono i volti delle persone che incontri», continua Stefano.
Perseverare dopo la tragedia
È l’aprile del 1994 quando il Rwanda diviene teatro di uno dei più sanguinosi episodi della storia dell’Africa. Pochi giorni prima, Stefano si trovava proprio lì, per il consueto monitoraggio dei progetti: niente poteva far immaginare cosa si sarebbe abbattuto sul Paese. «Ero da poco tornato in Italia, quando ricevetti la notizia che centinaia di persone si erano rifugiate nella chiesa di una delle missioni dove operavamo, ospitate dalla comunità locale insieme ai nostri volontari. La furia del genocidio non risparmiò nessuno e il massacro fu inevitabile», ricorda il presidente di Adp. «Per noi fu un evento a dir poco traumatico. I ragazzi con i quali avevamo giocato durante le estati erano spartiti fra vittime e carnefici. Tutto ciò che avevamo costruito in vent’anni era crollato, in pochissimi giorni».
Come si trova il coraggio di tornare? «Ognuno poi ha trovato le sue motivazioni. Abbiamo imparato che quello che conta davvero è la relazione umana che riesci a instaurare. E quella resta, nonostante tutto – ricorda Stefano -. Don Ferdinando ci ha sempre messo in guardia dall’efficientismo e dall’orgoglio, dalla tentazione di vantarsi rispetto a quanto si è operato. A un certo punto per noi è diventato un progetto di vita».
Il contesto cambia, ma i princìpi restano
Una vocazione così radicata per i ragazzi di Adp, che l’organizzazione e i progetti sono sopravvissuti persino al trasferimento di don Ferdinando ad altro incarico, arricchendo addirittura il ventaglio della cooperazione. Tenendo conto dei tempi che cambiano, in particolare del fatto che oggi l’Africa è molto più vicina a noi che in passato per via del fenomeno migratorio, negli ultimi 4-5 anni sono state realizzate esperienze estive anche in Italia: le baraccopoli del Mezzogiorno dove vivono i braccianti agricoli diventano così luogo di incontro fra culture, di conoscenza reciproca, di scambio e condivisione.
Stefano mette in luce i ragionamenti che hanno portato a una simile decisione: «Nord e Sud rappresentano oggi realtà trasversali, non più strettamente geografiche. Esistono aspetti di disuguaglianze sociali che travalicano i confini che abbiamo delineato nei secoli». Occorre assumere nuove prospettive: così per tutti i partecipanti alle esperienze estive è necessario frequentare il percorso di formazione alla mondialità, per prepararsi durante tutto l’anno a coglierne il significato profondo; per i ragazzi esistono invece progetti di educazione alla cittadinanza globale, realizzati in collaborazione con le scuole; e per i giovani che si affacciano al mondo del lavoro, la possibilità del servizio civile, sia in Italia sia nei Paesi del Sud del mondo.
Nel corso dei suoi 45 anni di vita, Adp ha realizzato progetti di cooperazione internazionale in Rwanda, Burundi, Repubblica Democratica del Congo, Uruguay, Argentina, Vietnam, in settori di intervento quali la costruzione di infrastrutture di base (acquedotti, scuole, ospedali, linee elettriche), la formazione professionale e l’avviamento al lavoro dei giovani, la promozione di microimprese in campo agricolo e artigianale.
Oltre alle dinamiche sociali, anche il contesto culturale e religioso italiano è radicalmente cambiato nel corso dei 45 anni di storia di Adp. Si legge però nella carta dei princìpi: «Il nostro cammino si arricchisce del contributo di persone, credenti e non credenti, che partecipano al percorso comune di ricerca del senso della vita e contribuiscono all’elaborazione di un’etica comunitaria condivisa, nel pluralismo di fedi e culture, per costruire un mondo realmente fondato sul rispetto dei diritti umani, sulla giustizia sociale, sulla convivenza pacifica e sulla salvaguardia dell’ambiente». Davvero una grande amicizia fra i popoli.