Milano ha bisogno di uomini e donne credibili che sappiano restituire� verità e di valori alti. Parole e promesse non bastano più occorre "spalancare porte e finestre" -

Marco GARZONIO presidente Ambrosianeum
Redazione

Milano ha bisogno di punti di riferimento, di esempi, di coerenze. In una parola: ha bisogno di maestri, di persone la cui cattedra è la vita, il mestiere che fanno, gli affetti che provano, le strade che attraversano, gli incontri che hanno o che cercano, i dialoghi che intrattengono, le amicizie che stringono, i doveri cui adempiono, gli impegni ai quali non si sottraggono. Ricorre quest’anno il centenario della nascita di Giuseppe Lazzati, formatore di generazioni, deportato nei lager tedeschi, deputato alla Costituente, rettore dell’Università cattolica. A oggi, la città non gli ha ancora dedicato una via, una piazza, un luogo in cui memoria e riconoscenza, chi è stato testimone diretto e chi ha sentito solo raccontare, si possano dare la mano, così da indicare a tutti, a incominciare dai giovani: «Questo è un modello di cittadinanza». La Chiesa sembra, purtroppo, aver rallentato il processo di beatificazione, che pure si era concluso positivamente nella fase diocesana, a metà degli anni Novanta, con il cardinal Martini. In quello stesso periodo Giuseppe Dossetti aveva commemorato Lazzati con queste parole: «È sempre stato – ma in particolare negli ultimi anni della sua vita – un vigilante, una scolta, una sentinella: che anche nel buio della notte, quando sulla sua anima appassionata di grande amore per la comunità credente poteva calare l’angoscia, ne scrutava con speranza indefettibile la navigazione nel mare buio e livido della società italiana». Milano ha bisogno di rieducazione. Il patrimonio di valori umani e cristiani va reimpiegato e messo continuamente a miglior frutto. Nel 1954, quando l’opera a favore dei Mutilatini era ormai una realtà consolidata, don Gnocchi estese la sua missione e immaginò – quasi profeticamente, si potrebbe dire – il salto che avrebbe dovuto compiere, parlò di «terapia dell’anima e del corpo, del lavoro e del gioco, dell’individuo e dell’ambiente: psicoterapia, ergoterapia, fisioterapia, il tutto armonicamente convergente alla rieducazione della personalità vulnerata». Oggi la Chiesa ha deciso di elevare don Carlo agli onori degli altari: il 25 ottobre prossimo, solennemente, in Duomo, verrà beatificato. L’evento sarà la metafora di un irrinunciabile e urgente recupero che coinvolge la città intera, ferita nell’anima e nella psiche dalle ingiustizie, dalle disgrazie, dalle morti sul lavoro, dal lavoro nero e dal sistema criminoso che lo sfrutta, dai licenziamenti, dalle case troppo care, dai servizi sociali insufficienti, dalle pensioni da fame, dall’assistenza sanitaria in cui i budget vengono prima della persona umana. Si potrebbe senz’altro continuare in questa sorta di manifesto della Milano che ha bisogno di simboli, di modelli, di testimonianze credibili, di uomini e di donne che vigilino. Se non si vive di soli grattacieli, occorrerà alimentare i bisogni di verità e di riferimento a valori alti che vengono dalle nuove generazioni, non accontentarsi delle parole, delle promesse che sembrano rassicurare coloro che le fanno e non i destinatari, della politica degli annunci e degli spot, spalancare porte e finestre, investire. (tratto dalla presentazione del Rapporto sulla città 2009 Milano ha bisogno di punti di riferimento, di esempi, di coerenze. In una parola: ha bisogno di maestri, di persone la cui cattedra è la vita, il mestiere che fanno, gli affetti che provano, le strade che attraversano, gli incontri che hanno o che cercano, i dialoghi che intrattengono, le amicizie che stringono, i doveri cui adempiono, gli impegni ai quali non si sottraggono. Ricorre quest’anno il centenario della nascita di Giuseppe Lazzati, formatore di generazioni, deportato nei lager tedeschi, deputato alla Costituente, rettore dell’Università cattolica. A oggi, la città non gli ha ancora dedicato una via, una piazza, un luogo in cui memoria e riconoscenza, chi è stato testimone diretto e chi ha sentito solo raccontare, si possano dare la mano, così da indicare a tutti, a incominciare dai giovani: «Questo è un modello di cittadinanza». La Chiesa sembra, purtroppo, aver rallentato il processo di beatificazione, che pure si era concluso positivamente nella fase diocesana, a metà degli anni Novanta, con il cardinal Martini. In quello stesso periodo Giuseppe Dossetti aveva commemorato Lazzati con queste parole: «È sempre stato – ma in particolare negli ultimi anni della sua vita – un vigilante, una scolta, una sentinella: che anche nel buio della notte, quando sulla sua anima appassionata di grande amore per la comunità credente poteva calare l’angoscia, ne scrutava con speranza indefettibile la navigazione nel mare buio e livido della società italiana». Milano ha bisogno di rieducazione. Il patrimonio di valori umani e cristiani va reimpiegato e messo continuamente a miglior frutto. Nel 1954, quando l’opera a favore dei Mutilatini era ormai una realtà consolidata, don Gnocchi estese la sua missione e immaginò – quasi profeticamente, si potrebbe dire – il salto che avrebbe dovuto compiere, parlò di «terapia dell’anima e del corpo, del lavoro e del gioco, dell’individuo e dell’ambiente: psicoterapia, ergoterapia, fisioterapia, il tutto armonicamente convergente alla rieducazione della personalità vulnerata». Oggi la Chiesa ha deciso di elevare don Carlo agli onori degli altari: il 25 ottobre prossimo, solennemente, in Duomo, verrà beatificato. L’evento sarà la metafora di un irrinunciabile e urgente recupero che coinvolge la città intera, ferita nell’anima e nella psiche dalle ingiustizie, dalle disgrazie, dalle morti sul lavoro, dal lavoro nero e dal sistema criminoso che lo sfrutta, dai licenziamenti, dalle case troppo care, dai servizi sociali insufficienti, dalle pensioni da fame, dall’assistenza sanitaria in cui i budget vengono prima della persona umana. Si potrebbe senz’altro continuare in questa sorta di manifesto della Milano che ha bisogno di simboli, di modelli, di testimonianze credibili, di uomini e di donne che vigilino. Se non si vive di soli grattacieli, occorrerà alimentare i bisogni di verità e di riferimento a valori alti che vengono dalle nuove generazioni, non accontentarsi delle parole, delle promesse che sembrano rassicurare coloro che le fanno e non i destinatari, della politica degli annunci e degli spot, spalancare porte e finestre, investire. (tratto dalla presentazione del Rapporto sulla città 2009

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