Dopo lo sgombero del campo abusivo, cinque nuclei (17 persone, tra cui 10 bambini) rientrano nel progetto che prevede un'ospitalità momentanea per avviarli, con gradualità, verso la reale autonomia: condizione basilare è un lavoro
Silvio MENGOTTO
Redazione
Annunciato da tempo, lo sgombero dei 150 rom romeni sotto il cavalcavia di Bacula si è svolto senza incidenti nella mattinata di martedì 31 marzo. Nei giorni precedenti varie associazioni di volontariato – padri Somaschi, Caritas Ambrosiana, Casa della Carità, Segnavia – presenti da tempo a Bacula hanno preparato l’evento cercando di renderlo il meno traumatico possibile. Negli ultimi due anni il campo era stato smantellato sette volte e la situazione ambientale e sanitaria era diventata grave.
Il degrado aveva trasformato il campo in discarica a cielo aperto. Più della metà dei rom sgomberati erano nomadi di altri sgomberi. Proprio negli ultimi giorni era stato raggiunto un accordo tra il Prefetto e la Casa della Carità. Don Massimo Mapelli, responsabile area rom della Casa, lo conferma: «La situazione di Bacula era insostenibile. Il campo, già sgomberato parecchie volte nel passato, andava chiuso. L’alternativa non può certo terminare con lo sgombero». L’accordo, precisa don Massimo, «raggiunto con il Prefetto di Milano ha consentito l’accoglienza temporanea in Casa della Carità di 17 persone, delle quali 10 bambini e 7 adulti».
Le cinque famiglie accolte rientrano nel progetto che la stessa Casa persegue dal 2005: accoglienza momentanea della famiglia rom per avviarla, con gradualità, verso una reale autonomia. Condizione basilare è quella di acquisire un lavoro che permetta di sostenere le spese per vivere e di abitare una casa in affitto. Contrariamente a pregiudizi e stereotipi diffusi anche dalla stampa, infatti, i rom romeni non vivono in baracche, ma in case di muratura. Annunciato da tempo, lo sgombero dei 150 rom romeni sotto il cavalcavia di Bacula si è svolto senza incidenti nella mattinata di martedì 31 marzo. Nei giorni precedenti varie associazioni di volontariato – padri Somaschi, Caritas Ambrosiana, Casa della Carità, Segnavia – presenti da tempo a Bacula hanno preparato l’evento cercando di renderlo il meno traumatico possibile. Negli ultimi due anni il campo era stato smantellato sette volte e la situazione ambientale e sanitaria era diventata grave.Il degrado aveva trasformato il campo in discarica a cielo aperto. Più della metà dei rom sgomberati erano nomadi di altri sgomberi. Proprio negli ultimi giorni era stato raggiunto un accordo tra il Prefetto e la Casa della Carità. Don Massimo Mapelli, responsabile area rom della Casa, lo conferma: «La situazione di Bacula era insostenibile. Il campo, già sgomberato parecchie volte nel passato, andava chiuso. L’alternativa non può certo terminare con lo sgombero». L’accordo, precisa don Massimo, «raggiunto con il Prefetto di Milano ha consentito l’accoglienza temporanea in Casa della Carità di 17 persone, delle quali 10 bambini e 7 adulti».Le cinque famiglie accolte rientrano nel progetto che la stessa Casa persegue dal 2005: accoglienza momentanea della famiglia rom per avviarla, con gradualità, verso una reale autonomia. Condizione basilare è quella di acquisire un lavoro che permetta di sostenere le spese per vivere e di abitare una casa in affitto. Contrariamente a pregiudizi e stereotipi diffusi anche dalla stampa, infatti, i rom romeni non vivono in baracche, ma in case di muratura. Storia di Robert, Flora e Sara I 10 bambini accolti frequentano da tempo le scuole elementari di via delle Ande e Mac Mahon; nonostante lo sgombero, la frequenza sarà garantita dall’assistenza dei volontari della Casa della Carità. Ai genitori dei ragazzi è stato chiesto di accompagnarli a scuola. Con i bambini sono presenti anche operatori che li seguono a lezione e nel doposcuola pomeridiano nella Casa della Carità oltre che, naturalmente, in tutte le attività ludiche e creative.«Mi ha commosso il fatto che le madri arrivate qui, il giorno dopo lo sgombero, con i biglietti del metrò che abbiamo dato loro, pur essendo più lontane rispetto a prima, hanno preso i bimbi e li hanno accompagnati a scuola – racconta don Virginio Colmegna, presidente della Casa -. E quando hanno visto la doccia si sono buttati dentro, finalmente. Piccole cose, che però fanno intravedere un percorso di integrazione. Non li consideriamo sfruttati o rom, ma cominciamo a chiamarli per nome».Qualcuno ha anche faticato un po’. Infatti, prima di ricongiungersi con le altre famiglie ospitate nella Casa della Carità, quella di Robert e Flora, con cinque figli, è stata momentaneamente accolta presso il Ceas (Centro di accoglienza del Comune, gestito dalla Casa presieduta da don Colmegna). Per gli adulti, precisa don Massimo, ora si apre un cammino di circa un anno. Gli uomini, in base alle loro competenze, saranno avviati alla ricerca attiva di un lavoro o alla frequenza di corsi formativi. I settori di occupazione sono l’edilizia, il giardinaggio e la pulizia. Anche per le donne si persegue l’obiettivo lavorativo, pur da una situazione di svantaggio. Per loro sono previsti corsi culturali di alfabetizzazione e lingua italiana, maternità, cura di sé, cucito… A Rho, nell’aprile 2007, Caritas Ambrosiana ha inaugurato un Centro di accoglienza comunale proprio con un progetto al “femminile”, dove donne rom hanno realizzato un centro di economia domestica, con stireria e cucito.Tra le tante storie, anche drammatiche, c’è quella di Sara, la piccola bambina distrofica, assistita dalle gemelle Diana e Clara. Sara viveva tutto il giorno nella piccola baracca buia, immobile sopra una branda: il sorriso non le mancava mai. Dalla settimana prima dello sgombero la piccola, accompagnata dai padri Somaschi e da don Colmegna, è ospitata con tutta la famiglia al campo di Triboniano. Ora però per lei sono necessarie cure specifiche. – Oltre la logica dello sgombero«I fondi non per i campi»«Per vincere il degrado» –