Scrive un'insegnante dell'istituto che accoglie 41 bambini del campo abusivo di via Rubattino: «Non ci opponiamo allo sgombero, ma vorremmo che continuassero a frequentare le nostre scuole, dove hanno iniziato percorsi di scolarizzazione e di socializzazione». All'appello si uniscono la Comunità di S. Egidio e i Padri Somaschi
Redazione
«A lei scrivo con la passione e l’urgenza di una maestra che rischia di veder sparire alcuni dei propri alunni». Comincia così la lettera inviata da Flaviana Robbiati, insegnante nel circolo didattico di via Pini 3 a Milano. «Frequentano le nostre scuole 41 bambini del campo rom abusivo di via Rubattino, il cui sgombero è imminente. Non ci opponiamo, perché gli sgomberi di altri campi hanno reso quest’area, che era forse un’oasi felice, indifendibile. Ma vorremmo con tutte le nostre forze che, a sgombero avvenuto, i nostri bambini rom continuassero a frequentare le nostre scuole, dove hanno iniziato percorsi di scolarizzazione, ma anche di socializzazione, con un tale successo da indurre i genitori italiani a fare una raccolta di firme in loro difesa. Siamo a più di 100 e la raccolta continua. Anche molti insegnanti hanno firmato chiedendo al Comune di mettere le famiglie di questi bambini in condizione di poter far continuare la frequenza presso le nostre scuole. Uno scolaro è come un figlio, non lo si può perdere così, con la freddezza di un’ordinanza e il rumore delle ruspe. Ho conosciuto le famiglie di questi bambini, li ho accompagnati per un tratto di strada. Una volta sgomberato il campo al posto di un orto pieno di relazioni e di cultura appena seminati, non resterà più niente».
Intervengono anche Comunità di Sant’Egidio e Padri Somaschi, da anni impegnati con queste famiglie rom. «Solo investendo nell’inserimento dei rom che dimostrano la volontà di integrarsi si crea sicurezza per tutti. Bisogna investire in percorsi possibili e in molti casi già avviati, per passare dal campo alla casa, per garantire la continuità scolastica dei minori, per accompagnare gli adulti nell’inserimento lavorativo. Solo così si può superare la logica dei campi, smantellandoli veramente e non limitandosi a costringere le persone a spostarsi senza migliorare le proprie condizioni di vita». «A lei scrivo con la passione e l’urgenza di una maestra che rischia di veder sparire alcuni dei propri alunni». Comincia così la lettera inviata da Flaviana Robbiati, insegnante nel circolo didattico di via Pini 3 a Milano. «Frequentano le nostre scuole 41 bambini del campo rom abusivo di via Rubattino, il cui sgombero è imminente. Non ci opponiamo, perché gli sgomberi di altri campi hanno reso quest’area, che era forse un’oasi felice, indifendibile. Ma vorremmo con tutte le nostre forze che, a sgombero avvenuto, i nostri bambini rom continuassero a frequentare le nostre scuole, dove hanno iniziato percorsi di scolarizzazione, ma anche di socializzazione, con un tale successo da indurre i genitori italiani a fare una raccolta di firme in loro difesa. Siamo a più di 100 e la raccolta continua. Anche molti insegnanti hanno firmato chiedendo al Comune di mettere le famiglie di questi bambini in condizione di poter far continuare la frequenza presso le nostre scuole. Uno scolaro è come un figlio, non lo si può perdere così, con la freddezza di un’ordinanza e il rumore delle ruspe. Ho conosciuto le famiglie di questi bambini, li ho accompagnati per un tratto di strada. Una volta sgomberato il campo al posto di un orto pieno di relazioni e di cultura appena seminati, non resterà più niente».Intervengono anche Comunità di Sant’Egidio e Padri Somaschi, da anni impegnati con queste famiglie rom. «Solo investendo nell’inserimento dei rom che dimostrano la volontà di integrarsi si crea sicurezza per tutti. Bisogna investire in percorsi possibili e in molti casi già avviati, per passare dal campo alla casa, per garantire la continuità scolastica dei minori, per accompagnare gli adulti nell’inserimento lavorativo. Solo così si può superare la logica dei campi, smantellandoli veramente e non limitandosi a costringere le persone a spostarsi senza migliorare le proprie condizioni di vita». – – Quando la campanella suona anche per i bambini rom