Le maestre della scuola frequentata dai piccoli nomadi raccontano il lavoro di inserimento troncato dallo sgombero di via Rubattino

di Silvio MENGOTTO
Redazione

Nel Discorso alla città l’Arcivescovo, di fronte alle autorità milanesi, ha ricordato lo sgombero dei rom di via Rubattino. «Mi ha colpito nei giorni scorsi, a seguito dello sgombero di un gruppo di famiglie rom accampate a Milano, la silenziosa mobilitazione e l’aiuto concreto portato loro da alcune parrocchie, da tante famiglie del quartiere preoccupate, in particolare, di salvaguardare la continuità dell’inserimento a scuola – già da tempo avviato – dei bambini. La risposta della Città e delle Istituzioni alla presenza dei rom non può essere l’azione di forza, senza alternative e prospettive, senza finalità costruttive». Con l’aiuto di alcune maestre abbiamo ripercorso le tappe di quella emergenza.
Nella scuola elementare “Elsa Morante” nello scorso settembre si sono iscritti 27 bambini rom di via Rubattino. Già da un anno alcune insegnanti erano in contatto con la Comunità di S. Egidio e con la Casa della Carità di don Virginio Colmegna. Piccoli passi di inserimento scolastico di bambini rom si erano realizzati in altri plessi scolastici. Per Stefania Faggi, maestra nella “Elsa Morante, l’inserimento di 27 bambini rom nelle classi non è stato particolarmente difficile: «Ha funzionato, con tutte le difficoltà che ci sono sempre quando si inserisce un bambino nuovo, soprattutto con un bambino rom che ancora non padroneggia la lingua italiana». Barbara, insegnante di religione, ha notato «che i bambini rom hanno tanta voglia di imparare. Oggi parlano molto l’italiano e hanno acquisito una buona capacità di comprensione. Se hanno un problema cercano di risolverlo. Sono bambini svegli».
L’emergenza è scattata il mattino stesso dello sgombero, come spiega Stefania: «Molte insegnanti sono accorse per prendere i bambini e portarli a scuola, preoccupate di non far loro subire totalmente lo sgombero». All’uscita pomeridiana le famiglie rom si sono trovate con le altre famiglie. Un incontro che era consueto: «Ormai era normale che all’uscita i genitori di tutti gli alunni si incontrassero e si conoscessero – continua Stefania -. Ci siamo chiesti cosa si potesse fare. In quel momento è scattata l’emergenza: è stato bellissimo! Abbiamo visto arrivare gente con la spesa per tutte le persone riunite che dovevano mangiare, avere materassi e coperte per tutti. Era necessario capire dove collocarli». Tra i compagni di classe l’impatto dello sgombero «è stato molto duro – precisa Barbara – e abbiamo rispettato il dolore». Per Stefania «molti non ne hanno voluto parlare. Il primo giorno erano veramente scioccati. Raccontavano fatti tipo “Ho perso la cartella”, giustificazioni per rimuovere. Sono un po’ fatalisti su questa cosa. Adesso vengono a scuola esattamente come prima».
Durante l’emergenza si sono mobilitate molte famiglie che, per la prima volta, hanno ospitato per la notte una donna rom con i loro figli. Rilancia Stefania: «Sono cattolica e Gesù è nato in una capanna perché era come un rom. Pensiamoci un attimo!» Oggi la situazione è ancora molto fluida. L’emergenza rimanda alla costruzione di un progetto per un futuro possibile. Stefania crede «fortemente nell’investimento sui più giovani, sui bambini. Una società che non investe sui bambini è destinata a finire. Purtroppo vedo investire molto sull’apparenza. Un bambino sgomberato se lo ricorderà per tutta la vita, come il bambino picchiato o maltrattato». Con realismo conclude «A Milano non c’è nulla di strutturato per i bambini. C’è poco, anzi niente. Ricordiamoci che il bambino è il futuro».
La frase di un tema scritto da un bambino che parla della sua compagna di scuola rom dice: «Lei è un essere vivente e come tutti ha dei diritti e una dignità e per questo dirle di arrangiarsi non è giusto perché il problema viene spostato. Dovete dire come e dove poter costruire un campo, fatelo per altri bambini così potranno andare a scuola avere un’istruzione e una vita migliore». Fa più paura un bambino rom che va a scuola o un bambino rom che non va a scuola? Nel Discorso alla città l’Arcivescovo, di fronte alle autorità milanesi, ha ricordato lo sgombero dei rom di via Rubattino. «Mi ha colpito nei giorni scorsi, a seguito dello sgombero di un gruppo di famiglie rom accampate a Milano, la silenziosa mobilitazione e l’aiuto concreto portato loro da alcune parrocchie, da tante famiglie del quartiere preoccupate, in particolare, di salvaguardare la continuità dell’inserimento a scuola – già da tempo avviato – dei bambini. La risposta della Città e delle Istituzioni alla presenza dei rom non può essere l’azione di forza, senza alternative e prospettive, senza finalità costruttive». Con l’aiuto di alcune maestre abbiamo ripercorso le tappe di quella emergenza.Nella scuola elementare “Elsa Morante” nello scorso settembre si sono iscritti 27 bambini rom di via Rubattino. Già da un anno alcune insegnanti erano in contatto con la Comunità di S. Egidio e con la Casa della Carità di don Virginio Colmegna. Piccoli passi di inserimento scolastico di bambini rom si erano realizzati in altri plessi scolastici. Per Stefania Faggi, maestra nella “Elsa Morante, l’inserimento di 27 bambini rom nelle classi non è stato particolarmente difficile: «Ha funzionato, con tutte le difficoltà che ci sono sempre quando si inserisce un bambino nuovo, soprattutto con un bambino rom che ancora non padroneggia la lingua italiana». Barbara, insegnante di religione, ha notato «che i bambini rom hanno tanta voglia di imparare. Oggi parlano molto l’italiano e hanno acquisito una buona capacità di comprensione. Se hanno un problema cercano di risolverlo. Sono bambini svegli».L’emergenza è scattata il mattino stesso dello sgombero, come spiega Stefania: «Molte insegnanti sono accorse per prendere i bambini e portarli a scuola, preoccupate di non far loro subire totalmente lo sgombero». All’uscita pomeridiana le famiglie rom si sono trovate con le altre famiglie. Un incontro che era consueto: «Ormai era normale che all’uscita i genitori di tutti gli alunni si incontrassero e si conoscessero – continua Stefania -. Ci siamo chiesti cosa si potesse fare. In quel momento è scattata l’emergenza: è stato bellissimo! Abbiamo visto arrivare gente con la spesa per tutte le persone riunite che dovevano mangiare, avere materassi e coperte per tutti. Era necessario capire dove collocarli». Tra i compagni di classe l’impatto dello sgombero «è stato molto duro – precisa Barbara – e abbiamo rispettato il dolore». Per Stefania «molti non ne hanno voluto parlare. Il primo giorno erano veramente scioccati. Raccontavano fatti tipo “Ho perso la cartella”, giustificazioni per rimuovere. Sono un po’ fatalisti su questa cosa. Adesso vengono a scuola esattamente come prima».Durante l’emergenza si sono mobilitate molte famiglie che, per la prima volta, hanno ospitato per la notte una donna rom con i loro figli. Rilancia Stefania: «Sono cattolica e Gesù è nato in una capanna perché era come un rom. Pensiamoci un attimo!» Oggi la situazione è ancora molto fluida. L’emergenza rimanda alla costruzione di un progetto per un futuro possibile. Stefania crede «fortemente nell’investimento sui più giovani, sui bambini. Una società che non investe sui bambini è destinata a finire. Purtroppo vedo investire molto sull’apparenza. Un bambino sgomberato se lo ricorderà per tutta la vita, come il bambino picchiato o maltrattato». Con realismo conclude «A Milano non c’è nulla di strutturato per i bambini. C’è poco, anzi niente. Ricordiamoci che il bambino è il futuro».La frase di un tema scritto da un bambino che parla della sua compagna di scuola rom dice: «Lei è un essere vivente e come tutti ha dei diritti e una dignità e per questo dirle di arrangiarsi non è giusto perché il problema viene spostato. Dovete dire come e dove poter costruire un campo, fatelo per altri bambini così potranno andare a scuola avere un’istruzione e una vita migliore». Fa più paura un bambino rom che va a scuola o un bambino rom che non va a scuola?

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