Gli studenti delle classi terze superiori rivelano come spendono i loro soldi, ma soprattutto con quali criteri. Un'indagine legata anche alla riflessione sulla cultura della sobrietà promossa dal cardinale Tettamanzi

Filippo MAGNI
Redazione

Le figure educative tradizionalmente alternative ai genitori, ovvero i nonni, gli insegnanti o gli animatori/catechisti dell’oratorio o dei centri di aggregazione, hanno un’influenza pressoché nulla sui consumi dei ragazzi, che spendono secondo quanto sembra loro più opportuno. È quanto emerge da un’indagine effettuata dalla Caritas monzese su un campione di studenti delle classi terze superiori delle scuole Della città. «Abbiamo scelto questa fascia d’età – spiega il sociologo Egidio Riva, curatore della ricerca e docente presso l’Università Cattolica di Milano – perché si tratta di un periodo “di mezzo”, in cui i ragazzi ricevono dai genitori i primi riconoscimenti di indipendenza economica». Le figure educative tradizionalmente alternative ai genitori, ovvero i nonni, gli insegnanti o gli animatori/catechisti dell’oratorio o dei centri di aggregazione, hanno un’influenza pressoché nulla sui consumi dei ragazzi, che spendono secondo quanto sembra loro più opportuno. È quanto emerge da un’indagine effettuata dalla Caritas monzese su un campione di studenti delle classi terze superiori delle scuole Della città. «Abbiamo scelto questa fascia d’età – spiega il sociologo Egidio Riva, curatore della ricerca e docente presso l’Università Cattolica di Milano – perché si tratta di un periodo “di mezzo”, in cui i ragazzi ricevono dai genitori i primi riconoscimenti di indipendenza economica». La ricerca L’analisi, dal titolo Adolescenti e consumo – atteggiamenti, orientamenti, valori, è stata effettuata attraverso un questionario consegnato agli studenti di 11 istituti del territorio e ha registrato la restituzione di 789 schede. «Sulla spinta del direttore della Caritas don Augusto Panzeri – spiega Riva – abbiamo pensato di realizzare un’iniziativa che trattasse il tema specifico dei consumi, legandosi anche alla riflessione sulla cultura della sobrietà promossa dal cardinale Tettamanzi». Da qui l’idea della ricerca su un argomento piuttosto inedito nell’analisi sociologica e che ha dato risposte interessanti. «È emerso uno stile di consumo a due facce – spiega il sociologo -: per alcuni spendere è attività edonistica, fatta per piacere e per piacersi. Per altri, invece, il consumo è un’attività consapevole, svolta con attenzione. Questo secondo caso è però caratteristico di chi ha pochi mezzi a disposizione». Se ne potrebbe dunque dedurre che «è la limitatezza dei fondi a determinare l’oculatezza della spesa». Il ruolo dei genitori I giovani raccontano anche di uno scarso controllo dei genitori sulla gestione del denaro: «Può essere un gesto di responsabilizzazione nei confronti dei figli – spiega il sociologo -, ma più spesso è specchio di una deresponsabilizzazione dei genitori nell’educazione dei figli, da cui deriva una spiccata deresponsabilizzazione della spesa». Allo stesso modo, conclude Riva, «i criteri utilizzati dai giovani per scegliere come spendere la “paghetta” (soprattutto in abbigliamento, calzature, alcolici) derivano dalla loro personale esperienza e non dall’insegnamento dei genitori o di altre figure di riferimento quali gli insegnanti, i nonni, gli educatori». – La sintesi della ricercaIl rapporto completo –

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