Sono 420 i posti per rifugiati e richiedenti asilo gestiti da Farsi Prossimo
di Cristina
CONTI
Un aiuto concreto per chi scappa dal proprio Paese e arriva in Italia con la speranza di una nuova vita. Si chiamano Sprar (Servizi di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e sono un’iniziativa voluta dal ministero dell’Interno e dall’Anci per favorire l’integrazione dei titolari di protezione internazionale. A Milano ci sono 420 posti dedicati a queste persone e vengono gestiti dalla cooperativa Farsi Prossimo di Caritas ambrosiana. Strutture residenziali, centri collettivi da 30 a 90 posti letto, appartamenti per uomini e donne sole o con bambini.
«Le persone che arrivano qui vengono aiutate immediatamente da un punto di vista sanitario, con screening che possano evidenziare la presenza di patologie particolari e di conseguenza per predisporre le cure più idonee», spiega Paolo Pagani, della cooperativa Farsi Prossimo. In ogni centro si rimane per sei mesi e sono presenti équipe formate da educatori professionisti e da assistenti sociali che seguono gli immigrati per tutta la loro permanenza nella struttura. Un’«area documentale» si occupa di preparare i documenti per richiedere asilo o, nel caso la domanda sia già stata accettata, per quelli definitivi, come il codice fiscale. C’è poi l’area che si occupa dell’insegnamento della lingua italiana. «Le persone che arrivano qui hanno una formazione molto diversa. Alcuni sono laureati e dunque parlano una lingua che facilita l’apprendimento della nostra, altri invece sono ragazzi che partono da zero e questo rende l’insegnamento più lungo», spiega Pagani. E infine l’area integrazione che definisce insieme all’ospite un progetto di lavoro e di vita in Italia, da quale percorso professionale scegliere fino a quale lavoro svolgere. Cercare di inserirsi in un ambiente diverso. Di imparare una lingua, di conoscere una cultura e di potersi aprire una strada tra mille difficoltà.
Oggi il percorso che i richiedenti asilo e i rifugiati devono fare nel nostro Paese è particolarmente difficile. A complicarlo sono soprattutto la crisi economica che ancora si vive in Italia e i viaggi della speranza sempre più spesso tragici. «Oggi la maggior parte delle persone che accogliamo è costituita da analfabeti, che provengono dall’Africa occidentale e che hanno molte difficoltà a comunicare. Manca la conoscenza di una lingua veicolare e l’apprendimento del nostro idioma richiede sforzi notevoli», commenta Pagani.
Ma ci sono poi anche altre difficoltà. Primi tra tutti i problemi di salute. Talvolta anche molto gravi. «Tra le persone che arrivano capitano casi vulnerabili, con problemi fisici o psichici, dovuti alla permanenza in Libia o alla modalità di viaggio nel Mediterraneo. Spesso si tratta di difficoltà psicologiche e di sofferenze che richiedono cure notevoli. Ma c’è anche chi era malato già da prima con patologie gravi, come tumori o sclerosi multipla, che ha bisogno di un’assistenza sanitaria molto intensa», precisa Pagani.
Storie di persone che hanno subito crudeltà atroci. Che spesso hanno visto morire parenti o amici sotto i loro occhi. Che nel loro Paese di origine non hanno mai avuto cure sanitarie adeguate. E talvolta nemmeno un’istruzione di base. «Per migliorare l’integrazione serve una maggiore diversificazione degli interventi di cura e di accompagnamento al lavoro. Ce la mettiamo tutta per agevolare la loro permanenza in Italia. Soprattutto nella ricerca di un’occupazione, riceviamo molto aiuto da aziende e agenzie interinali, ma ci aiuterebbe più sensibilità, anche se si tratta soprattutto di persone che hanno una formazione medio-bassa», conclude Pagani.