Laureatasi alla Bicocca nel 2014, dopo un'esperienza in Zambia e un percorso formativo la giovane infermiera è in partenza per il Paese africano con il Cuamm. Racconta le sue motivazioni e che cosa farà laggiù
Matilde Aldeghi, giovane infermiera lecchese, è in partenza per un’esperienza di cooperazione in Africa attraverso l’Ong Medici con l’Africa Cuamm di cui a Lecco esiste un Gruppo d’Appoggio.
Quando partirai ?
Mercoledì 16 settembre prenderò il volo per il Sud Sudan, destinazione l’ospedale di Lui, dove arriverò dopo una quarantena di 14 giorni nella capitale Juba. In realtà sarei dovuta partire a metà marzo, tuttavia l’emergenza Covid mi ha trattenuto in Italia fino a ora. In Sud Sudan resterò per sei mesi, con la possibilità che il contratto si prolunghi per altri 6 mesi.
Una volta là di cosa ti occuperai ?
Una volta in loco il mio ruolo sarà quello di monitorare l’attività infermieristica locale e collaborare fianco a fianco con gli operatori sud sudanesi e all’équipe internazionale per implementare e migliorare la qualità delle cure, l’accessibilità ai servizi e l’organizzazione delle attività dell’ospedale con una speciale attenzione a quanto riguarda la salute di mamme e bambini.
Qual è la tua preparazione professionale ? E hai già fatto esperienze in questo ambito ?
Mi sono laureata in Infermieristica all’università di Milano Bicocca nel 2014. Subito dopo la laurea ho trascorso qualche mese in Zambia, dove mi sono avvicinata all’attività di volontariato in ambito sanitario e, dopo diverse esperienze lavorative per conoscere un po’ più da vicino gli ambiti di applicazione della mia professionalità, ora lavoro in Pronto Soccorso presso l’ospedale di Lecco. In preparazione alla partenza con il Cuamm, poi, ho partecipato nel settembre-ottobre del 2019 a Padova, presso la sede dell’Ong, ad un corso su “Cooperare per la salute in Africa”. Il corso, diviso in moduli, trattava svariati argomenti: dall’organizzazione dei sistemi sanitari alla salute pubblica a come si redige un progetto… per poi toccare anche temi più clinici in ambito ginecologico, chirurgico e di malattie infettive.
Come hai conosciuto il Cuamm, e cosa ti ha spinto a partire ?
Ho conosciuto il Cuamm da bambina grazie alla mia famiglia, da sempre molto attenta alle iniziative organizzate sul nostro territorio, e tramite testimonianze dirette delle numerose persone che a Lecco si sono spese e si spendono per e, soprattutto, con l’Africa da molti anni. Le motivazioni che mi spingono a partire hanno radici profonde e di duplice valenza: credo che emotivamente sia difficile spiegare fino in fondo la spinta che si prova quando ci si sente chiamati ad allontanarsi per un po’ da casa per prendere parte a un progetto come questo. Sicuramente e primariamente credo nell’importanza della cooperazione internazionale e nella difesa del diritto alla salute per tutti, nessuno escluso, in un mondo che tende a globalizzarsi spesso a scapito delle fasce più deboli. Credo che chi si occupi di salute debba necessariamente interrogarsi sui propri strumenti a disposizione per la diffusione di una salute accessibile, fruibile ed equa. Impegnarmi in un progetto del genere, oltre a rappresentare il fatto di dare concretezza ai principi deontologici dell’Infermiere, spero possa fare emergere il prezioso contributo che la professione infermieristica può mettere in campo nelle equipe nazionali e internazionali nella progettazione, nel mantenimento e nel miglioramento dei servizi sanitari, con un punto di vista sempre rivolto alla promozione della salute e alla qualità dei percorsi di cura.
Qual è la situazione in cui ti troverai a lavorare ? Com’è la diffusione della pandemia da Covid-19 in Sud Sudan ?
Le criticità nel Paese sono molte: la popolazione è molto povera e segnata da anni di conflitti; le malattie sono molte, la mortalità molto alta e l’accesso alle cure ancora precario; c’è scarsità di risorse idriche e poco cibo ed è un territorio in cui è difficile anche la coltivazione. La situazione Covid non rappresenta una minaccia in Sud Sudan per ora; non si registrano molti casi, però la capacità diagnostica è bassissima e quindi le stime non possono essere molto precise; ci si protegge seguendo le misure prescritte dall’OMS e con la quarantena obbligatoria per chiunque arrivi dall’estero.