Alle urne quattro elettori su dieci: un segnale di malessere popolare che interroga vincitori e vinti, chiamati alla sfida di ridare credibilità alla democrazia
di Pino
Nardi
Sul Palazzo Lombardia continuerà a sventolare la bandiera del centrodestra. Il leghista Attilio Fontana infatti è stato confermato presidente della Regione con un consistente consenso, il 54,67%, pari a 1.774.477 voti, staccando di oltre venti punti Pierfrancesco Majorino, sostenuto dal centrosinistra e dal Movimento 5 Stelle, che si è fermato al 33,93% (1.101.417 voti). Al di sotto delle aspettative Letizia Moratti, candidata dalla Lista Moratti Presidente e da Azione e Italia Viva, con il 9,87% (320.346 voti). Infine Mara Ghidorzi, appoggiata da Unione Popolare, l’alleanza tra Rifondazione comunista, Potere al popolo e Dema, ha ottenuto l’1,53% (49.514 voti).
Un risultato largamente previsto, che ha visto il consolidamento del partito del presidente del Consiglio Fratelli d’Italia, primo in Lombardia con il 25,18%, seguito dal Pd in leggera ripresa con il 21,82%. Regge la Lega 16,53%, in netto calo Forza Italia, Movimento 5 Stelle e il Terzo polo.
Ma il vero dato significativo di queste regionali è il crollo ancora più accentuato della partecipazione al voto: il 41,68% (era stata il 73,11% nel 2018). Oltre il 30% in meno, arrivando al punto più basso in una regione che da sempre ha espresso le più alte percentuali di votanti in Italia.
Malessere crescente
Un dato molto preoccupante, espressione di un malessere sempre più crescente, che rischia di minare la tenuta democratica del Paese. Un fenomeno che non può essere oggetto di qualche titolo il giorno dopo le elezioni e poi finire in un dimenticatoio, tranne stupirsi alla tornata successiva.
Un segnale rivolto a tutte le forze politiche di maggioranza e di opposizione. Ai primi certo viene riconfermato il consenso maggioritario in percentuale, anche se evidentemente non ha scaldato i cuori degli elettori. Sul fronte delle opposizioni la proposta di cambiamento di un’amministrazione di centrodestra, che dura da 30 anni, non è stata così credibile da mobilitare l’elettorato. Il Pd e il suo candidato Majorino vincono a Milano città, confermando l’“anomalia” riformista della metropoli rispetto al resto della regione, ma non sfondano nelle province.
Inoltre il pesante crollo del Movimento 5 Stelle registra la delusione di un elettorato attirato in passato dalle sirene populiste, che non ha portato al cambiamento sperato e che è andato a ingrossare l’astensionismo.
Ora chi ha vinto è chiamato alla responsabilità del governo di una regione che rimane certamente il motore economico e finanziario del Paese, ma che presenta anche tante sofferenze soprattutto sul fronte di una sanità pubblica davvero alla portata di tutti, come recentemente ha sottolineato l’Arcivescovo, monsignor Mario Delpini. Sono necessarie inoltre risposte concrete ai bisogni crescenti delle fasce più deboli della popolazione.
Alle forze di opposizione il compito di vigilare, di criticare le scelte della maggioranza, ma anche di appoggiare senza pregiudizi quei provvedimenti che vanno a beneficio di tutti. Ma oltre a questo è necessario un impegno a delineare una possibile alternativa credibile da proporre nella prossima tornata elettorale.
L’impegno a rivitalizzare le funzioni istituzionali è una delle condizioni per riavvicinare gli elettori alla Regione: rispondere ai bisogni dei cittadini lombardi, ma anche favorire il più possibile una partecipazione popolare. Questa è la risposta alla prima vera emergenza: ridare credibilità alla democrazia, al ruolo dei partiti al servizio del bene comune per recuperare l’elettorato oggi ampiamente disperso.