Il profilo di chi alloggia nell'edilizia pubblica è cambiato negli anni: sempre meno persone sono in grado di sostenersi autonomamente. La nostra indagine prosegue con la testimonianza di don Ambrogio Basilico
di Lorenzo
Garbarino
L’edilizia residenziale pubblica è un tema spesso al centro del dibattito pubblico sulla vivibilità di Milano. Conosciute anche come case popolari, sono state costruite in città soprattutto dal secondo dopoguerra per rispondere alle necessità delle famiglie a basso reddito. Le abitazioni erano assegnate a operai originari prevalentemente dell’hinterland o del Meridione, giunti a Milano per lavorare nelle fabbriche.
Don Ambrogio Basilico, della parrocchia Pentecoste, da sempre prete di periferia in zone come Quarto Oggiaro e oggi Giambellino, descrive le caratteristiche di questi quartieri: «Negli anni Settanta chi abitava le case popolari si sentiva un cittadino di serie A. Poteva far studiare i figli e dare inizio alla mobilità sociale». Per don Basilico, a contribuire al benessere delle zone popolari era la certezza del lavoro. La sicurezza salariale permetteva alle famiglie di vigilare sulla cura della casa e del quartiere.
Un circolo virtuoso che ha cominciato a incrinarsi circa vent’anni fa. Chi apparteneva alle fasce del ceto medio, come analizzato anche dalla professoressa Cristina Pasqualini, ha cominciato ad abbandonare la città, spostandosi fuori dalla cintura urbana.
Gli esclusi
Testimone del fenomeno è don Basilico: «Non è vero che Milano è una città attrattiva: lo è solo per un certo tipo di persone, non per la classe media o per i poveri. Il mercato della casa oggi non tiene conto dei giovani o delle persone “normali”. Negli anni ho visto in molti spostarsi nella prima periferia, di pochi chilometri. Oggi vedo molte persone dell’edilizia residenziale che non sono in grado di pagare l’affitto e a volte neppure le spese».
Non essendo queste persone in grado di sostenersi, si è assistito al progressivo degrado dei quartieri: si è sviluppata una generale incuria, fino a fenomeni di occupazioni abusive degli immobili, spesso accompagnati da altri fenomeni di illegalità. Chi oggi vive nelle case popolari, commenta don Basilico, si sente un cittadino di serie B.
Chi bussa alla parrocchia
A subire questo declassamento sono le fasce meno abbienti: anziani soli o famiglie straniere, precarie o che, dopo aver perso il lavoro, non sono più in grado di far fronte a bisogni primari. La nuova condizione di chi oggi abita in questi quartieri ha provocato inoltre un mutamento delle esigenze. Alla porta di don Basilico bussano persone con bisogni soprattutto materiali: «Crescere in questi contesti fa passare il messaggio che la normalità sia vivere di assistenza. Quando una persona viene a bussare alla porta della parrocchia chiede cibo, soldi, casa e lavoro. Noi facciamo il possibile, ma la mia preoccupazione è che, se non cambierà qualcosa, le case popolari saranno concentrati di casi sociali».
Da questo contesto di emergenza, don Basilico fa attenzione a non limitare la questione esclusivamente all’ambito della sicurezza: «Non sottovaluto quanto accade o chi ha un sentimento legittimo, ma dai miei ricordi di Quarto Oggiaro e Barona, crescere i figli negli anni Settanta, tra gli stupefacenti e gli anni di piombo, non credo sia stato semplice. Oggi c’è una esagerazione su un tema serio come quello della sicurezza».
Secondo don Basilico, insistere sulla narrazione di questi temi provoca danni anche al senso di comunità: «La soluzione prospettata alle persone con questa campana a un certo punto diventa una sola: mi chiudo in casa e mi faccio gli affari miei».
L’edilizia non basta
Progetti per la riqualificazione dell’edilizia residenziale non mancano a Milano. Oltre ad alcuni dei risultati esposti al recente Forum dell’Abitare dall’assessore alla Casa Pierfrancesco Maran, la città attende l’inaugurazione delle ultime stazioni della Metro 4.
A beneficiare del collegamento della metropolitana sarà anche il quartiere Giambellino, ma don Basilico sottolinea come, alle infrastrutture, sia necessario accompagnare anche iniziative culturali: «A Quarto Oggiaro ci è capitato di dover costruire la chiesa nuova: la Curia ha insistito che fosse un edificio bello, anche sfidando un po’ di resistenza della parrocchia stessa, che voleva una costruzione più sobria. E la conseguenza qual è stata? Anni dopo è diventato un centro di iniziative culturali, ne hanno beneficiato gli abitanti delle case popolari, che oggi partecipano agli spettacoli sotto casa. Questi spazi belli hanno portato bellezza in un quartiere non dico problematico, ma che ha richieste spesso collegate a bisogni più immediati».
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