L'affermazione in un dialogo in Cattolica con il direttore della sede milanese di Banca d’Italia Giorgio Gobbi, in occasione della presentazione del libro “Credito e responsabilità sociale”, curato da Elena Beccalli e pubblicato da “Vita e pensiero”

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Una finanza dove il denaro non è un fine bensì uno strumento in grado di promuovere coesione sociale, bene comune, sviluppo sostenibile. È la via da percorrere per immaginare «un modo diverso di abitare la terra». E soprattutto per arginare quelle «asimmetrie» che la crisi economica, prima, e la pandemia, poi, hanno contribuito ad aumentare. È uno dei messaggi forti emersi dal dialogo tra l’Arcivescovo di Milano monsignor Mario Delpini e il direttore della sede di Milano di Banca d’Italia Giorgio Gobbi, intervenuti giovedì 18 novembre, nell’ambito di BookCity, alla presentazione del libro Credito e responsabilità sociale, curato dalla preside di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative Elena Beccalli e pubblicato dalla casa editrice “Vita e Pensiero”. Si tratta del secondo titolo della collana “Economia, finanza e responsabilità sociale” che raccoglie le riflessioni sviluppate ed esperienze maturate nei laboratori promossi dall’Università Cattolica sul Documento Oeconomicae et Pecuniariae Quaestiones, della Congregazione per la Dottrina della Fede e del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale.

«Il denaro, come la parola, è uno strumento di relazione, quando viene scambiato per un fine, assume le sembianze di un idolo e il sistema finanziario che lo adora diventa un gigante ammalato che divora tutto e rende i poveri più poveri», ha detto monsignor Delpini, sollecitato dalle domande del giornalista del Corriere della sera Nicola Saldutti, che ha moderato il dibattito. Un incontro che rappresenta un nuovo, ulteriore tassello del percorso di dialogo con la comunità finanziaria voluto nell’ottobre 2019 proprio dall’Arcivescovo di Milano con l’obiettivo di riflettere sul futuro della finanza.

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«La lettura critica della vicenda contemporanea mette in evidenza il corrompersi delle relazioni stabilite con il denaro – ha osservato monsignor Delpini -. L’asimmetria tra chi ha il denaro e di chi ha bisogno del denaro può sviluppare dinamiche perverse». Tra le alternative proposte dall’Arcivescovo per «contrastare l’idolatria» del denaro: l’invettiva dei profeti, ovvero persone che denunciano le «malefatte» del sistema idolatrico; l’intraprendenza popolare, con il recupero della «funzione relazionale»; una politica animata dalla «fiducia» e dalla «determinazione».

A tale riguardo l’Arcivescovo ha sollecitato la politica, a «riconoscere la propria priorità per convincere i sacerdoti dell’idolo a riconoscere il loro inganno». «Il nemico non è la finanza, ma l’idolatria del denaro – ha precisato mons. Delpini -. Si può stare dentro il mondo finanziario perseguendo il bene comune».

Una via condivisa anche da Elena Beccalli. «Quando si parla di intermediazione bancaria e finanziaria si fa riferimento a un’attività basata sulla fiducia. Del resto, è la stessa etimologia del termine “credito” a ricordare che “fare credito” a qualcuno significa fidarsi di lui». Tuttavia, nell’attuale contesto imprese e istituzioni «sperimentano bassi livelli di fiducia». Di qui la necessità di recuperare quel concetto inteso in termini di «tutela».

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Infatti, ha aggiunto la preside, «la domanda che i manager dovrebbero porsi è: “Dovrebbe esistere?”. Chiedersi se una tecnologia, un prodotto o un servizio debba esistere per il bene della società è il punto di partenza per il modello della tutela sociale». Una domanda strettamente legata alla sostenibilità, difficilmente sintetizzabile in «un indice» o «un report ESG». Essa piuttosto rimanda a questioni di «etica intergenerazionale» e di «politiche da adottare affinché la transizione ecologica, con i suoi inevitabili costi, non vada ad alimentare ulteriori disuguaglianze».

Ma il denaro è una medaglia dal doppio volto. L’avvertimento di Giorgio Gobbi è evitare che il credito da «strumento di crescita economica e sviluppo sociale», possa «trasformarsi in un vincolo soffocante degli individui e delle comunità». L’aspetto della responsabilità sociale torna forte. «Un’impresa che assume un livello eccessivo di indebitamento facendo leva sulla responsabilità limitata pone un danno potenziale alla collettività», ha detto Gobbi.

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«La responsabilità si estende anche agli individui sebbene in una forma collettiva: una società che s’indebita per ridurre le differenze nei consumi anziché incidere sulle diseguaglianze dei redditi si può dire che faccia un uso irresponsabile del debito. La crisi dei mutui sub-prime negli Stati Uniti all’inizio di questo secolo ne è un esempio molto istruttivo».

Contro il pericolo di altre crisi del debito, sono due, a detta di Gobbi, le condizioni prioritarie: «Rinsaldare la coesione sociale soprattutto tra le generazioni, ossia evitare che gli adulti di oggi spostino le scelte difficili su quelli di domani; lavorare affinché non sia necessario aumentare ancora il debito per far fronte ai danni adesso ancora evitabili quali la distruzione dell’ambiente».

 

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