La testimonianza di Sonia Bonatti, impegnata in una comunità residenziale per adolescenti, che si scontra con una realtà fatta di salari bassi e lunghi turni

di Lorenzo Garbarino

startup giovani lavoro

L’educatore non è solo un percorso di studi, ma una vocazione. Questa chiamata però si scontra con orari pesanti, paghe magre e neppure molte garanzie sul futuro. A tratteggiare questo scenario è Sonia Bonatti, 23enne di Seregno, che lavora in una comunità educativa residenziale per adolescenti.

Bonatti interverrà mercoledì 19 aprile alla Veglia per il lavoro in programma a Mind (leggi qui) e racconterà la sua esperienza in un settore complesso come quello dell’educazione: «Dopo essermi laureata nel 2022, ho subito cominciato a lavorare in comunità. Ma non è tutto oro quello che luccica… Mi sono scontrata infatti con una professione con tanti problemi e poco considerata a livello sociale. Mi capita spesso di lavorare per tante ore al giorno e di fila, a volte anche da sola. Lo stipendio è molto basso e senza margini di carriera».

Il percorso di formazione degli educatori è lungo e mette insieme una serie di conoscenze trasversali: oltre alla pedagogia, gli studenti si concentrano sulle scienze psicologiche e gli elementi dell’igiene. Sono compresi anche studi di carattere amministrativo, ma la competenza più importante in questo lavoro per Bonatti è un animo predisposto al lavoro di gruppo.

Di fronte a uno studio così articolato e senza effettive garanzie, il timore di Bonatti è che la passione per questo lavoro possa scemare alle prime difficoltà. Eppure, la richiesta di educatori in Lombardia è altissima, così come i ragazzi che hanno bisogno di aiuto. «Io lavoro con la fascia dei 14/18 anni – racconta Bonatti – e mi occupo di persone che segnalano disturbi mentali come la gestione dell’ansia e dello stress. Se una volta c’era un tabù su questi temi, dopo la pandemia se ne parla più liberamente».  

La caduta di questo stigma secondo Bonatti ha aiutato a portare alla luce più richieste di aiuto da parte dei giovani, anche dalle fasce preadolescenziali. L’educatrice osserva come già nell’ultimo anno delle elementari si segnalino casi di disturbi del comportamento alimentare, che iniziano a manifestarsi con primi sintomi già intorno ai 12 anni, molto prima di quella che è considerata l’adolescenza. Un lavoro delicato a cui gli educatori non possono rispondere in modo tempestivo, anche per la mancanza di risorse e personale, sottodimensionato e scarsamente riconosciuto.

Ti potrebbero interessare anche: