Ennesimo episodio di violenza ai danni di ragazzo. Dito puntato su droghe leggere e uso smodato dei social. La comunità ecclesiale attiva sul fronte: «Famiglia, Chiesa, scuola e sport insieme per dare risposte unitarie», auspica don Matteo Missora, incaricato cittadino per la Pastorale giovanile
di Cristina
Conti
Insulti, minacce, violenze contro i coetanei. Il caso di un ragazzo torturato in un garage nel Varesotto è solo l’ultimo di una lunga serie di episodi di bullismo che coinvolgono i giovani. Storie di disagio grave, di cui nessuno si accorge finché non culminano in un evento eclatante. Storie di adolescenti troppo spesso lasciati soli dagli adulti. Giovani sovente abbandonati a loro stessi, alla mercé di un uso smodato di social network e droghe leggere, che di conseguenza fanno crescere il numero delle vittime di questo fenomeno.
«L’inquietudine che condividiamo ci deve spronare a una seria verifica su come dialoghiamo con i nostri ragazzi, cosa diciamo loro, cosa mostriamo di fatto che vale di più, come gli mostriamo una bellezza e un bene cui anche loro appartengono», ha sottolineato monsignor Luigi Panighetti, Prevosto di Varese, in una riflessione resa pubblica nei giorni successivi all’episodio (in allegato).
Con don Matteo Missora, incaricato cittadino per la Pastorale giovanile – e a sua volta coautore, insieme al Decano di Varese don Mauro Barlassina, di un intervento pubblico sulla vicenda (in allegato) – facciamo il punto della situazione, a partire da quanto compiuto nei giorni scorsi dalla Chiesa locale: «Attraverso l’oratorio più coinvolto nella zona ci siamo messi in contatto con le famiglie dei ragazzi protagonisti e con i loro amici – spiega – e abbiamo cercato di avviare con loro un lavoro di conoscenza, di incontro e di confronto».
Ci troviamo di fronte a un’emergenza educativa. Perché, secondo lei?
Purtroppo questo episodio non è isolato, ma si inserisce in un fenomeno che è esploso da un po’ di tempo a questa parte. È il mondo che si orienta in questa direzione. Oggi sono molto diffusi i social network, c’è un accesso facile alle droghe leggere. E il mondo adulto non è capace di rendersi conto di quello che succede. È una realtà complicata che si respira quotidianamente, nella scuola, nell’oratorio, in tutti gli ambienti giovanili. E soprattutto si fa fatica a trovare interlocutori nel mondo adulto. Anche se il problema viene segnalato, infatti, non c’è una vera e propria presa di coscienza da parte delle persone, non tutti si sentono toccati da questo fenomeno. C’è mobilitazione quando esce una notizia di questo tipo, se ne parla molto sui giornali e nelle realtà giovanili, ma poi si fa fatica ad attivare un lavoro di rete.
A suo parere, che cosa può fare la comunità ecclesiale a questo proposito?
Al di là di conoscere, incontrare e accompagnare le persone coinvolte, il nostro desiderio sarebbe appunto quello di promuovere un lavoro di rete. Il confronto con il mondo adulto, il coinvolgimento dei genitori non sono importanti solo nei momenti di crisi, ma anche prima, in termini di prevenzione. Su queste tematiche, poi, andrebbero interpellati anche i mondi della scuola, dell’educazione e dello sport per affrontare il problema insieme e per dare risposte unitarie, e non dispersive come troppo spesso invece accade.