Il progetto "Nevermind": nanovettori per migliorare le terapie
Le persone affette da disturbi neurologici sono aumentate notevolmente negli ultimi 25 anni e alcune tra le malattie neurodegenerative e i tumori cerebrali più gravi hanno cure purtroppo ancora scarsamente efficaci. Nella ricerca di migliori terapie contro patologie come l’Alzheimer o il glioblastoma non c’è solo la sfida di sviluppare farmaci più efficaci. È anche necessario migliorare la capacità di raggiungere con questi farmaci le aree cerebrali coinvolte nei processi infiammatori alla base delle patologie.
Un’azione a cui si oppone la barriera emato-encefalica, struttura biologica di difesa che circonda il nostro cervello e ha la funzione di selezionare le sostanze autorizzate a penetrarlo, impedendo l’ingresso di elementi nocivi presenti nel sangue. Un muro difensivo prezioso e complesso, che in caso di malattia finisce però per ostacolare il rilascio del farmaco nel sistema nervoso centrale.
Ricercatori italiani puntano ora a sviluppare una nuova generazione di nanovettori ingegnerizzati, in grado di superare la barriera e rilasciare i principi attivi in modo selettivo mediante recettori.
È questo l’obiettivo del progetto Nevermind (“Nuove frontiere nello sviluppo di nanofarmaci per il miglioramento dell’efficacia e della sicurezza terapeutica nelle patologie neurologiche”), finanziato dalla Fondazione Regionale per la Ricerca Biomedica (FRRB) e coordinato dalla dottoressa Marzia Bedoni, responsabile del Laboratorio di Nanomedicina e Biofotonica Clinica dell’Irccs Don Gnocchi di Milano.
Il progetto, che vede coinvolti anche l’Irccs Istituto Clinico Humanitas, l’Irccs Ospedale San Raffaele, l’Università degli Studi di Milano e l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, parte da alcuni principi attivi che hanno già dimostrato la loro efficacia a livello cellulare, senza però riuscire a raggiungere i livelli terapeutici desiderati. L’incapsulamento di tali molecole all’interno di un nanovettore di nuova concezione dovrà dimostrare, in test preclinici su modelli sperimentali, se sia possibile sfruttarne meglio le caratteristiche curative. I ricercatori stanno lavorando sia con cellule di soggetti sani che malati, così da poter indagare eventuali modificazioni genetiche correlate all’insorgenza delle patologie, in particolare la malattia di Alzheimer, che possono influenzare la risposta dell’organismo alla terapia.
I Centri coinvolti nel progetto hanno una lunga esperienza nella presa in carico e nella cura di persone con patologie neurologiche e i loro ricercatori uniscono ora le forze con i partner universitari per identificare una strategia comune al fine di mettere a punto terapie più efficaci per regalare nuove speranze ai pazienti e alle loro famiglie.