I vent’anni della Fondazione celebrati in una serata con gli interventi dell’Arcivescovo e del Sindaco. Da monsignor Delpini il ringraziamento a don Colmegna e gli auguri a don Selmi, suo successore

Casa della Carità 2022
Don Virginio Colmegna e il suo successore don Paolo Selmi

di Annamaria Braccini

«Sono pieno di stupore e mi chiedo cosa c’è nell’animo, nel cuore di un uomo o di una donna che creano infaticabili proposte, che si impegnano con naturalezza nel fare il bene. Certo, si parla tanto della cattiveria e dell’egoismo, ma io, ovunque vada, vedo il bene fatto con sacrificio». È con un primo sentimento personale tradotto in parola – appunto, lo stupore – che l’Arcivescovo conclude la serata in cui si festeggiano i 20 anni di Casa della Carità.

Lo scambio e l’inquietudine

Accanto a lui sul palco dell’Auditorium affollatissimo, c’è il sindaco di Milano Beppe Sala, come lui per statuto garante della Fondazione Casa della Carità e don Virginio Colmegna, presidente fin dalle origini, a cui si rivolge direttamente l’Arcivescovo. «Io non riesco a dare una risposta a questo stupore se non riconoscendo che siamo fatti a immagine di Dio. Qui personalità come don Virginio e iniziative come la Casa sembrano tirare fuori il meglio di noi. Casa della Carità è spiegabile con quell’immagine degli Atti degli Apostoli che dice che essi condividevano tutto e che nessuno, per questo, era nel bisogno. Nessuno è così povero da non poter dare qualcosa, per cui i poveri, ricevendo un aiuto, lo offrono a loro volta. Dove ci si scambia doni, si impara chi sono io e chi è l’altro: ciò significa fare una casa, non una sorta di stazione di servizio. Così la carità cristiana costruisce un rapporto, attraverso uno scambio di doni. Il terribile male della solitudine del nostro tempo nasce da un “non scambio”».

Casa della Carità 2022

L’Arcivescovo e don Colmegna

Poi, quell’altra parola – l’inquietudine – che l’Arcivescovo scandisce e che è la chiave per entrare nello spirito della Casa, voluta dal cardinale Martini, comprendendo cosa, al di là delle tante iniziative, si faccia in questo presidio di civiltà, socialità e cultura, e soprattutto come: «Se siamo così bravi, efficienti, lavoratori, perché ci sono i poveri? La Casa pone domande con l’inquietudine che è come un angelo di Dio che viene a dirci: svegliati, condividi, crea cammini, innovazione, perché non siamo mai arrivati. Vent’anni possono essere un tempo sufficiente per dire che abbiamo fatto un percorso che permette di andare avanti e formulo auguri anche per il cammino che incomincia», conclude l’Arcivescovo salutando don Paolo Selmi, dall’1 gennaio successore di don Colmegna alla guida della Fondazione e designato anche vicedirettore di Caritas ambrosiana. Il lungo abbraccio, tra gli applausi, dei due sacerdoti, da sempre impegnati sul fronte del farsi prossimo, suggella una serata piena, nel suo articolato svolgersi, di suggestioni e testimonianze.

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Il cortometraggio e il video di Martini

Come quelle raccontate nel bel cortometraggio di Enrico Maisto, Noi la chiamiamo Casa, proiettato in anteprima e che verrà proposto al pubblico il 4 dicembre presso il Cinema Anteo nel contesto del «Souq Fillm Festival», il concorso internazionale che Casa della Carità promuove ormai da anni. Pellicola con tante voci, volti, momenti di chi nella Casa vive e lavora. Il risultato è un mosaico di vita quotidiana fatto colorato di tante etnie, visi provenienti da ogni parte del mondo, realtà di chi cerca una mano tesa e di chi la porge.

A portare un breve saluto è il prefetto Renato Saccone, che ha preso parte negli anni scorsi all’Accademia di Casa della Carità: «Siamo sempre di fronte alle emergenze, ma dobbiamo affrontarle sapendo che dietro ci sono le persone. Occorrono risposte puntuali, ma per avere speranza dobbiamo andare oltre. Qui si insegna a guardare oltre l’immediato e il contingente».

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L’intervento di don Virginio

Poi, ancora un video – a tratti commovente – del cardinale Martini che, accogliendo nel 2005 il pellegrinaggio della Casa a Gerusalemme, parlò dell’eccedenza della carità, «segnando i cardini del cammino futuro», spiega don Colmegna: «C’è un eccesso del male tutte le volte che si sorpassa l’idiozia umana e si tratta di pianificare la cattiveria, come si è manifestato ad Auschwitz o quando ci si esalta nello schiacciare gli altri. Ma c’è anche un eccesso di bene che si ha tutte le volte che si compiono quei gesti che non sono dei do ut des, andando al di là del meccanismo del dare e avere – osservava il Cardinale -. Questo andare oltre è proprio il Vangelo, che non è equilibrio, ma squilibrio. L’uomo che cerca solo l’equilibrio razionale, alla fine, si affloscia».  

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Le testimonianze

Cinque le parole proposte con il filo rosso di altrettante testimonianze. «Gratuità, squilibrio, casa, diritti, innovazione».

Dal racconto di due ospiti, Khadim ed Elizabeth che danno voce alla loro gratitudine, all’avvocato Peppe Monetti che si sofferma sui diritti – «il primo è essere riconosciuti come persone e storie, perché da lì si inizia a parlare di diritto a una vita serena o almeno dignitosa» – per arrivare alla «gratuità», narrata da Gemma Di Marino, presidente dell’Associazione volontari. È lei che dice: «Questa parola per noi ha un valore infinito, perché non è scambiabile in senso monetario, è un’etica. I poveri portano un bagaglio fatto di borsoni, ma anche di dolori, di vite spezzate. Alla gratuità deve essere legata la libertà, perché questo ci permette di garantire alle persone che arrivano non un’accoglienza a tempo determinato. Noi abbiamo un debito verso gli ospiti, ricevendo molto da loro e imparando cosa vuol dire stare insieme e coltivare fraternità».

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E, ancora, padre Alessandro Maraschi del Pime – «di fronte agli squilibri fisici, politici, familiari, vogliamo essere anche noi squilibrati con un eccesso di bene» – e Donatella de Vito, che torna sul concetto di innovazione: «Si tratta di mettere in campo la fantasia della carità, stando nel mezzo dei conflitti e del disagio, perché dall’emergenza, quando non viene subita, possono crescere progetti di eccellenza». Come quando lo stesso Auditorium, dove si svolge l’incontro, divenne un primo riparo per 17 famiglie rom per un totale di 78 persone, sgomberate da via Triboniano: «I risultati della nostra accoglienza, che ha portato una grande maggioranza di loro ad avere oggi una casa, sono stati così importanti che, proprio il 23 novembre di dieci anni fa, vennero varate le nuove linee guida dell’amministrazione comunale, secondo la logica di quanto si era fatto nella Casa: non più sgomberi senza offrire alternative. Tutto è nato in questo Auditorium da un atto di follia, la follia della carità».

L’intervento del Sindaco

«Ci sono sempre delle lezioni da imparare dalla vita. I singoli spesso pensano a cosa dovrebbero fare gli altri, ma io sento la necessità di ripartire da se stessi, avendo la forza morale di sostituire all’io il noi», riflette, a sua volta, il sindaco Sala, che non si nasconde le mancanze della politica: «Su questo la politica, noi, facciamo molta fatica, ma solo una risposta comunitaria, in questa situazione che si è fatta sempre più difficile, può farci andare avanti. Dalla Casa è sempre uscito un “noi” e questa è la prima lezione».

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Le autorità presenti

Alla quale non può che seguirne una seconda, evidenziata da Sala, la forza di fare qualcosa nel tempo: «È facile essere protagonisti, fare grandi cose per una stagione, ma occorre affrontare le difficoltà nel tempo con una continua evoluzione. Questo è tipico dell’ambrosianità. Dobbiamo avere fiducia e speranza perché la società milanese riesce sempre a confermarsi: non vedo nessun cedimento nella nostra comunità allargata; vedo, invece, la profonda volontà di fare. Accogliere più di 9300 persone, come ha fatto la Casa nel 2021 vuole dire qualcosa. Don Virginio ti sei sacrificato moltissimo per Milano: questo fa di te un grande uomo e, detto dal Sindaco, un grandissimo milanese».  

 

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