La prima proviene da un campo profughi in Mozambico, la seconda dal Camerun: sono arrivate a Milano con il progetto Unicore dei Corridoi Universitari, grazie al quale per loro studiare è diventata una missione possibile

di Bruno Cadelli

corridoi universitari
Studenti in arrivo a Malpensa: da sinistra, Lea Christine è la prima, Hafsa la terza

Dalle tende dei campi profughi all’Università Bocconi di Milano. Sono chilometri di speranza e coraggio quelli percorsi da Hafsa e Lea Christine, giovani studentesse giunte in Italia attraverso i Corridoi universitari. Gli studenti selezionati, che partecipano al programma, ottengono una borsa di studio e frequentano l’università per due anni accademici. A Milano vede coinvolte Statale e Bocconi.

Un orizzonte nuovo

«Questa opportunità mi ha aperto un orizzonte nuovo, Milano è qualcosa che non ho mai visto». Ridono gli occhi di Hafsa, 26 anni e un sorriso contagioso anche nel raccontare un passato difficile: «Mio padre è del Burundi e mia madre del Ruanda. Questi Paesi hanno conosciuto entrambi la guerra civile e loro si sono incontrati scappando verso la Tanzania». Per cinque anni Hafsa ha vissuto nel campo profughi in Mozambico, poi la nuova chance con il corso di studi in marketing e management. «Sono arrivata a Milano da poco, ma tutti sono stati gentili con me, da grande mi piacerebbe aiutare le persone e far parte di un’organizzazione non governativa. Sono comunque aperta a qualsiasi tipo di possibilità».

Accolte con gentilezza

Non si pone limiti nemmeno Lea Christine, 20 anni e un passato all’apparenza meno tribolato. «Io non ho vissuto la guerra, sono nata in Cameroun, ma ho sempre vissuto in comunità per rifugiati». Parla dei suoi obiettivi futuri intrecciando le dita della mano tra i capelli: «Finché sei vivo puoi sempre cambiare la tua situazione e il tuo futuro. Alla Bocconi studio Economic and Management for International Organization». Altruismo e gentilezza sono state le due costanti di questi primi giorni a Milano. «La barriera della lingua pensavo fosse un problema, visto che molti italiani non parlano inglese. L’altro giorno siamo uscite e ci siamo perse, ma tutti hanno provato a darci una mano. A volte consultando Google traduttore sul telefono…».

Il tempo di una risata e subito le due studentesse tornano inevitabilmente a pensare al futuro, senza nascondere il loro desiderio di rimanere in Italia. «Non ho ancora avuto tempo per avere nostalgia del mio Paese, Milano offre tante opportunità» dice Hafsa, spalleggiata da Lea Christine in un botta e riposta pieno di gioia e riflessioni: «Milano è come una casa e poi con la tecnologia possiamo rimanere in contatto con i nostri parenti».

Un’opportunità non per tutti

Se da una parte il progetto Unicore sta cambiando la vita ad Hafsa e Lea Christine è bene ricordare come non tutti i ragazzi nel mondo abbiano accesso alle stesse opportunità. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite del 2021, solo il 68% dei bambini rifugiati frequenta la scuola elementare, mentre gli adolescenti iscritti alla scuola secondaria sono il 34%. La situazione è ancora più tragica se si pensa alla scuola superiore, al termine della quale solo il 5% dei rifugiati ha accesso all’università. «Un libro, una penna, un insegnante e un bambino possono cambiare il mondo»: sono passati quasi dieci anni da quando Malala Yusafai, attivista pakistana e premio Nobel per la pace, lanciava a soli 16 anni un appello al mondo intero per mettere l’educazione al centro del dibattito internazionale. C’è ancora molta strada da fare, ma Hafsa e Lea Christine hanno risposto presente.

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