Negli istituti milanesi carcerati senza abiti adeguati, scuola e attività lavorative sospese, forti limitazioni ai colloqui con familiari e avvocati. È quanto emerge da un documento elaborato dagli operatori dell’area Carcere di Caritas ambrosiana
Sovraffollamento ancora oltre i limiti di guardia, un aumento dei positivi al Covid rispetto alla prima ondata, misure coercitive assunte in nome della sicurezza sanitaria, la sospensione di alcune attività risocializzati come la scuola e di servizi essenziali affidati ai volontari, la cui presenza è stata drasticamente ridimensionata in nome della sicurezza sanitaria. È quanto emerge da un documento elaborato dagli operatori dell’area Carcere di Caritas Ambrosiana sulla situazione degli istituti penitenziari di San Vittore, Bollate e Opera
I positivi salgono al 7,7% della popolazione carceraria
Se gli istituti penitenziari milanesi erano riusciti a contenere in maniera abbastanza efficace la ‘prima ondata’ dell’epidemia prodotta dal diffondersi del virus Covid-19 in Lombardia, la ‘seconda ondata’ ha colpito più duramente la popolazione detenuta e chi, in quegli stessi istituti, lavora. Secondo le informazioni raccolte dagli operatori le persone detenute complessivamente positive al virus nelle tre carceri della città metropolitana sarebbero attualmente circa 260 (il 7,7%), una percentuale più elevata di quella che si era registrata durante la primavera che solo in parte si spiega con i trasferimenti di persone contagiate dagli altri istituti della regione nei due reparti sanitari (Covid Hub) che sono stati allestiti nel frattempo a Bollate e San Vittore.
Ancora sovraffollamento: 3400 detenuti per 2932 posti
Nonostante il calo della popolazione carceraria dell’8% rispetto a quella registrata all’inizio dell’anno, quindi prima dell’emergenza sanitaria, permane, invece, una situazione di sovraffollamento: i posti teoricamente disponibili sono solo 2.923 a fonte dei 3.400 detenuti presenti. Una condizione fortemente aggravata dalla riorganizzazione degli spazi legata alla necessità di predisporre reparti sanitari per gli ammalati e per l’isolamento dei detenuti positivi al Covid-19. Per liberare questi spazi – spiegano gli operatori – molti reclusi sono stati trasferiti in altri reparti, trovandosi così a condividere la cella con più persone di prima. Una scelta che ha provocato persino nel carcere di Milano Bollate situazioni critiche.
Celle sempre chiuse
La condizione di sovraffollamento è resa anche più intollerabile, poi, dalla chiusura dei reparti, dei piani e, in diversi casi, persino delle celle, con una significativa diminuzione, in particolare a San Vittore, dell’applicazione della sorveglianza dinamica, un regime che prevede che, nei reparti di media e bassa sicurezza, le celle restino aperte negli orari diurni, migliorando così la vivibilità degli istituti da parte delle persone detenute.
Niente scuola
Ma uno degli aspetti che più preoccupa gli operatori della Caritas Ambrosiana riguarda la chiusura della scuola e di gran parte delle attività lavorative, culturali, ricreative e di sostegno psicologico, sociale che nei tre istituti erano garantite dalla presenza di operatori esterni all’amministrazione penitenziaria e dei volontari. «Le attività scolastiche sono ferme e non è, a oggi, stata attivata alcuna forma di didattica a distanza, le attività trattamentali sono ridotte al lumicino».
A San Vittore molti detenuti senza abiti adeguati
La presenza dei volontari è stata drasticamente ridimensionata in tutti e tre gli istituti, con evidenti conseguenze peggiorative per la vita delle persone detenute, soprattutto quelle maggiormente vulnerabili, che non possono effettuare i colloqui con i volontari e le volontarie delle diverse associazioni. Non solo. La diminuzione dei volontari ammessi ad entrare in carcere ha anche determinato un calo nell’erogazione di alcuni servizi di aiuto materiale come la distribuzione di indumenti e prodotti per l’igiene personale (che l’amministrazione penitenziaria non riesce a garantire, nemmeno per quei prodotti essenziali previsti dalla normativa). Dalle informazioni raccolte dagli operatori risulta che la situazione sia particolarmente critica nella casa circondariale di San Vittore, dove molti detenuti non hanno ancora ricevuto abiti adatti per proteggersi dal freddo.
Limitazioni nei colloqui con avvocati e familiari
Persino l’accesso degli avvocati è fortemente limitato e non riesce a essere opportunamente sostituito dai colloqui telefonici o dalle video-chiamate, tanto più per le persone straniere che hanno meno dimestichezza con la lingua italiana. Contemporaneamente, l’isolamento è reso ancora più intollerabile dall’impossibilità di svolgere i colloqui con i propri familiari e dalla limitazione, in alcuni casi dalla sospensione, della possibilità di ricevere i ‘pacchi’, con indumenti, prodotti alimentari e altri beni dall’esterno, a volte persino quelli recapitati per posta.
«Nonostante siano chiare le esigenze sanitarie che, in carcere come fuori, suggeriscono di limitare le occasioni di contatto interpersonale, quel che più preoccupa è il protrarsi della durata di questo regime d’eccezione, con il blocco proprio di quelle attività che più di tutte assolvevano alla funzione rieducativa della pena stabilita dalla Costituzione e che dunque sono indispensabili per un corretto funzionamento del sistema penitenziario», osservano gli operatori.
Le richieste
Considerata la situazione delle tre carceri milanesi, queste le principali richieste della Caritas Ambrosiana
Primo: In assenza di misure di clemenza capaci di incidere significativamente sull’affollamento carcerario, siano attivati sul territorio al più presto anche gli interventi di accoglienza abitativa promossi e finanziati dalla Cassa delle Ammende per i quali non si è ancora concluso l’iter amministrativo e che consentirebbero ai detenuti che ne hanno diritto di scontare la pena all’esterno del carcere.
Secondo: Venga garantita la continuità degli interventi scolastici, socioeducativi e assistenziali realizzati dagli operatori e dai volontari attivi negli istituti cittadini, sia implementando la possibilità di svolgere le attività a distanza (in primis quelle scolastiche), sia individuando spazi e modalità per una loro maggiore presenza intramuraria in condizioni di sicurezza sanitaria.
Terzo: Compatibilmente con le esigenze sanitarie siano tolte le limitazioni, in particolare quelle che ostacolano per le persone detenute la possibilità di mantenere e coltivare i propri affetti, e quelle che riducono l’agibilità degli spazi e delle occasioni di socialità.
«In mezzo alla tempesta che stiamo attraversando Papa Francesco ci ha ricordato che “siamo tutti sulla stessa barca”. Ciò vale anche per i detenuti. La gestione della crisi sanitaria all’interno delle carceri non può prescindere dalla tutela dei diritti delle persone recluse» osserva Luciano Gualzetti, direttore della Caritas Ambrosiana.