Il direttore di Caritas Ambrosiana commenta le novità nelle politiche abitative locali: «C’è stata una svolta, si è imboccata la direzione giusta, ma per cogliere i frutti ci vorrà tempo, mentre servirebbero risposte immediate»
di Francesco
CHIAVARINI
«Rispetto al passato c’è stata senza dubbio una svolta nelle politiche abitative del Comune di Milano. Ma ci vorrà tempo, perché le tante buone idee sui tavoli istituzionali si traducano in progetti reali». A sostenerlo è Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana.
Gualzetti, finalmente Comune, Regione e Fs hanno raggiunto un accordo per la riqualificazione dei sette scali ferroviari, un’area enorme di oltre un milione di metri quadrati. L’intesa prevede che il 30% del costruito sia destinato ad housing sociale e a edilizia convenzionata. Una buona notizia?
Si è imboccata certamente la direzione giusta. Ma i frutti li coglieremo fra molto tempo. Dopo l’approvazione in Consiglio comunale – un passaggio tra l’altro non scontato – per ognuna di quelle aree bisognerà produrre un piano particolareggiato, ogni piano dovrà essere approvato dal Comune, poi occorrerà trovare i costruttori. Mi pare molto difficile che si possa vedere l’apertura dei cantieri prima della fine della mandato di questo sindaco. Bisognerà aspettare, mentre abbiamo bisogno di risposte più immediate.
Nel 2014 il Comune ha affidato a MM il proprio patrimonio pubblico. Come valuta la nuova gestione?
Senza dubbio sono stati fatti passi avanti. Ma i problemi sono ancora tantissimi. Manca ancora una quadro preciso dello stato degli immobili, un censimento accurato di chi li occupa. Per esempio le cantine delle case popolari restano ancora una terra di nessuno, dove spesso si annida lo spaccio. Ma bisogna dire che i nuovi gestori hanno eredito una situazione pesantissima: dopo anni di abbandono, il lavoro da fare è tantissimo.
Come valuta la situazione di Aler?
La Regione ha nominato un nuovo presidente. Aspettiamo di capire in quale direzione vorrà andare. Sarebbe bene che Aler e MM, i due gestori del patrimonio pubblico, lavorassero di concerto per risolvere le due principali emergenze che anni di incuria hanno reso enormi: la morosità e l’abusivismo. Sulla morosità sarebbe auspicabile un grande piano concorde per distinguere i morosi incolpevoli (chi non paga perché non può) da quelli colpevoli (chi, pur potendo, non lo fa). Sulle occupazioni abusive MM ha dato i primi segnali per arginare il fenomeno. Ma bisogna proseguire.
Per «muovere il mercato immobiliare», l’assessore alla casa Gabriele Rabaiotti ritiene che bisognerebbe togliere la casa popolare a chi continua a occuparla da anni, anche se nel frattempo ha migliorato la propria condizione economica e non ne ha più i requisiti. Un’idea provocatoria…
Provocatoria, ma sacrosanta. Le case popolari servono a chi non ha alternative. Se ci allontaniamo da questo principio, distorciamo la loro funzione. Detto questo, quell’idea tanto giusta mi pare altrettanto difficile da realizzare, perché aprirebbe una serie lunghissima di conteziosi tra Comune e inquilini peraltro di incerta soluzione.
Che cosa fare allora?
A Milano il problema è noto: molti chiedono una casa popolare non perché sono poveri, ma perché non riescono a pagare l’affitto privato. Tra il mercato delle locazioni e gli alloggi pubblici c’è uno spazio vuoto che va riempito. Bisogna farlo convincendo i proprietari di case ad affittare a canone concordato. Da qualche tempo il Comune ha reso questa formula più appetibile per i locatori, offrendo più garanzie in caso di morosità, concedendo sgravi fiscali, consentendo di stabilire anche canoni più alti. Ma il risultato è ancora molto modesto: mentre in altre città la quota degli alloggi a canone concordato arriva al 50% dell’offerta, a Milano è ferma al 5%. E, per giunta, la proprietà di queste case è in genere nelle mani di enti caritativi. Insomma c’è ancora molta strada da fare per persuadere i cittadini che dare in affitto la propria casa a meno può essere più conveniente.