Nel Discorso di Sant’Ambrogio l’Arcivescovo ha lanciato l’allarme sul diritto all’abitare che nella metropoli si fa sempre più precario, per i prezzi del mercato e per l’impatto devastante di pandemia e costi energetici sui bilanci familiari

Barona_Via Mazzolari, ang Parco Campagna
Caseggiati alla Barona

di Paolo BRIVIO

Milano è città che, quanto più diventa esclusiva, tanto più rischia di diventare escludente. È «la città che riqualifica quartieri e palazzi, che fa spazio all’innovazione e all’eccellenza, che seduce i turisti e gli uomini d’affari», riconosce l’arcivescovo Delpini nel suo Discorso di Sant’Ambrogio. E però, intanto, «demolisce le case popolari e costruisce appartamenti a prezzi inaccessibili». Così, scaturisce spontanea una domanda: «Dove troveranno casa le famiglie giovani, il futuro della città? Dove troveranno casa coloro che in città devono lavorare, studiare, invecchiare?».

I numeri

La crescente profondità dei divari socio economici è sempre più evidente soprattutto quando si parla di diritto all’abitare. Chi oggi può permettersi di abitare, a Milano? Gli affitti medi sono i più alti d’Italia e in continua crescita, negli ultimi due anni del 5%. L’affitto medio per un monolocale si aggira sui 690 euro e quello per un bilocale sugli 870. Sul mercato immobiliare il costo medio a metro quadro supera i 5.500 euro. Le case popolari sono circa 63 mila, ma ogni anno se ne liberano circa mille, meno del 2% del totale (la permanenza media di una famiglia in una casa popolare è di 40 anni), mentre pendenti giacciono circa 25 mila domande di assegnazione. Sistema sostanzialmente bloccato, insomma; talora viene da pensare che le istituzioni abbiano abdicato alla titolarità della questione abitativa.

Insieme al lavoro, la casa è una delle condizioni necessarie per promuovere la dignità di ogni vita umana e la sua autonomia. Durante il periodo del confinamento da Covid, con lo slogan #iorestoacasa, l’abitazione è stata rifugio, scuola, ufficio, piazza (per alcuni prigione). Per molti, è però nel frattempo diventata fardello insostenibile dal già fragile bilancio familiare. Pandemia, inflazione e costi dell’energia hanno accelerato ed evidenziato il processo di emergenza abitativa che da anni affligge il Paese.

In Italia il concetto di abitare è tutto orientato verso la proprietà immobiliare, mentre la locazione rimane una soluzione residuale. Le politiche abitative degli ultimi decenni hanno determinato una situazione in cui circa il 20% delle famiglie non vivono in una casa di proprietà, e in questo gruppo sociale la condizione di disagio abitativo è assai diffusa. Anche perché, soprattutto quando si è titolari di un affitto non potendo godere di redditi elevati, le spese di gestione della casa rappresentano una quota predominante dei bilanci famigliari. La contrazione dei guadagni, dovuta alla pandemia prima e alla guerra poi, ha inizialmente minato la possibilità di utilizzare per altre spese la parte residuale del proprio reddito, poi ha intaccato anche le spese fisse, quasi completamente riferibili alla gestione della casa.

I report dei servizi Caritas

I Centri di ascolto e i servizi Caritas (anzitutto Siloe) possono testimoniare che, a partire dalla pandemia, il calo dei redditi, anche quelli non regolari, ha avuto un impatto devastante sulle condizioni economiche di molte famiglie che avevano un equilibrio precario e fragile, ma pur sempre un equilibrio. Gran parte delle odierne domande di contributo hanno come sfondo la contrazione dei guadagni, ma come concreta concomitanza l’impossibilità di fronteggiare le spese di locazione, le rate dei mutui, le spese condominiali e quelle per le utenze domestiche.

L’erogazione di contributi per fare fronte alle difficoltà nel gestire le spese riferibili alla casa, ed evitare di perderla, è molto aumentata negli ultimi due anni. A questo bisogno generico si aggiungono le forme di disagio specifico, relative a particolari gruppi di cittadini e abitanti. Ci sono le crescenti occupazioni di appartamenti sfitti nelle case popolari, spesso in condomini degradati, da parte di Rom, soprattutto rumeni, figlie della disperazione e del racket, generatrici di conflitti sociali. C’è l’estrema precarietà abitativa cui sono costretti molti migranti, che non riescono più a permettersi nemmeno un’abitazione o una stanza in condivisione. C’è naturalmente il popolo dei senza dimora, per i quali le esperienze alternative alle grandi accoglienze istituzionalizzate, con inserimenti tesi all’integrazione sociale in piccole comunità o in appartamenti resi disponibili dall’approccio Housing First, sono sicuramente apprezzabili, ma continuano a rappresentare solo una goccia nel mare del bisogno.

Il “sistema Caritas” cerca di dare risposte alla fame generale di case e ai bisogni particolari che si generano in questo panorama. I Centri di ascolto, come detto, incrociano ogni giorno il tema del diritto all’abitare, e vi rispondono sostenendo persone e famiglie nei pagamenti di affitti e utenze, oltre che nella ricerca di alloggi, spesso con il coinvolgimento del servizio Siloe (e talora del sindacato Sicet). Fondazione San Carlo da 28 anni gestisce circa 300 appartamenti, che affitta a canone concordato a inquilini seguiti, in alcuni casi, da educatori, volontari e dai servizi sociali territoriali; gestisce inoltre il Pensionato Belloni e Casa Fatima, oltre ad aver affidato 3 appartamenti a Caritas per l’accoglienza di persone senza dimora in un progetto Housing First. Alcune cooperative (Farsi Prossimo, Intrecci, Sociosfera) gestiscono infine servizi di housing sociale. È la Milano che, dal basso, cerca di evitare che l’esclusività diventi esclusione: sfida durissima, da affrontare ogni giorno.

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