Nel Convegno “Corruzione, la via breve delle mafie”, organizzato dall’Associazione “Libera” con la presenza dell’Arcivescovo, si è riflettuto a più voci sulle infiltrazioni della malavita organizzata. «Avere attenzione per un’economia sana, assicura sviluppo e bene comune»
di Annamaria
Braccini
Un evento che si colloca nella serie promossa, in tutta Italia, da “Libera”, per lanciare un grido di allarme e, insieme, offrire riflessioni e piste di attenzione per arginare il fenomeno delle mafie. Inserito nel percorso lombardo di “Liberaidee”, la campagna nazionale sulla percezione delle mafie e della corruzione, il convegno – che si svolge presso l’Auditorium “San Carlo” con la presenza di autorità militari e civili e di tanta gente -, prende spunto dalle considerazioni che il cardinale Carlo Maria Martini, allora arcivescovo di Milano, pronunciò nel 1989, di fronte agli alunni delle Scuole Sociopolitiche della Diocesi, anticipando ciò che si sarebbe rivelato realtà, dopo tre anni, con “Tangentopoli”. Vengono anche presentati alcuni dati del decimo Report “Mafie e corruzione a Milano” e il Rapporto di “Liberaidee” per la Lombardia.
Cifre che parlano di una percezione della corruzione molto diffusa tra la gente, basti pensare che un cittadino su 4 dice di conoscere persone che hanno avuto a che fare con la corruzione in Lombardia, anche se l’82% dei giovani intervistati ha paura di denunciare e l’80% crede che sia inutile.
Nel 27esimo anniversario della morte di David Maria Turoldo (l’Auditorium appartiene alla Comunità dei Servi di Maria), Lorenzo Frigerio, referente di “Libera” Lombardia, ne cita le parole: “La corruzione è meccanismo che rompe il patto sociale”.
Da Martini parte la riflessione dell’Arcivescovo, che nota: «Nel suo discorso del 1989, il Cardinale invita a chiamare le cose con il loro nome e con i numeri, per evitare di gettare discredito generalizzato sulla classe politica, generando una sfiducia complessiva, e per convincere, al contempo, a non rassegnarsi. Egli ha indicato alcuni principi con la cautela di un’applicazione che non sia indiscriminata, ma severa nella precisione, rispetto a costumi dati per scontati come la corruzione o, oggi, l’intimidazione che la mafia impone. Contro il sistema della marchiatura, di un’appartenenza obbligatoria a un padrone (come è narrato nel Libro dell’Apocalisse) e non radicata nel diritto della persona di appartenere alla società, siamo chiamati a reagire per poter vivere»
Il richiamo del vescovo Mario è chiaro: «Inviterei anche io a elaborare quelle virtù civiche che permettono di essere avvertiti. Tanti, come “Libera”, hanno trovato sistemi e strade persuasive, come il tema della confisca di alcuni beni, offerti anche a realtà ecclesiali, orientando al bene il segno del male, della sudditanza e dell’adorazione della Bestia».
Per il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, «il comune senso di sentire dovrebbe far pensare ai cambiamenti intercorsi dalla Milano di quegli anni (fine dell’80) a oggi. Ma, leggendo la ricerca di “Libera”, emergono dei dati incredibili, almeno per la percezione dei cittadini. Milano è città simbolo, dove è più probabile pensare che vi sia interesse per chi ha intenti corruttivi, anche perché il 30% degli investimenti stranieri arriva nella sola nostra città. Occorre fare uno sforzo, individuando nello scarso rapporto tra mondo pubblico e privato un problema, perché si rischia di caratterizzare il primo come una realtà a sé stante e così non è. La sensazione che gli anni di “Mani Pulite” siano lontani è smentita da questa analisi di “Libera”. D’altra parte, bisogna dire che il senso del rispetto delle regole e lo stigma verso chi corrompe o è corrotto sono ancora forti nelle nostre terre. La questione è capire con chi ci si confronta e dove veramente sia la corruzione».
Parole cui fa eco Francesco Greco, procuratore della Repubblica di Milano e magistrato di punta del pool di “Mani Pulite”, che osserva: «Da quei giorni a oggi cosa è successo? Chiaro che l’inchiesta di allora era figlia dei tempi e che quella corruzione era risultato di uno stallo, dove i partiti la facevano da padrone con correnti interne sempre in lotta tra loro. Una situazione che chiedeva una grande quantità di soldi. Ma quell’epoca storica è finita, infatti, “Mani Pulite” ratifica la fine di un mondo. Poi, i partiti politici sono passati direttamente dalla corruzione al peculato anche perché sono diminuiti gli investimenti pubblici – uno dei grandi bacini corruttivi – e ci si è diretti verso centri di spesa come le Regioni. Attualmente, a fronte della corruzione pubblica, è aumentata moltissimo la corruzione privata: infatti, in Procura a Milano, consideriamo la corruzione non tanto una lesione della Pubblica Amministrazione, ma della concorrenza. La via più breve, che è quella di fare illeciti in tema concorrenziale, ha effetti devastanti anche sul danno che si fa all’innovazione e alla ricerca. La corruzione negli affari ha una grande madre che sta nell’evasione fiscale: una delle cause del declino anche di questo Paese e che è all’origine delle diseguaglianze sociali. La forbice tra ricchi e poveri aumenta perché non si è combattuta l’evasione, a volte la si è persino coccolata».
Per don Luigi Ciotti, presidente di “Libera”, che cita ancora Turoldo – “lo spirito è il vento che non lascia morire la polvere” -, «dobbiamo avere questo spirito, con una cultura che dà la sveglia alle coscienze».
Insomma, il dovere è anche educativo (proprio “Libera” ha attivato di recente il servizio “LineaLibera” per chi vuole denunciare episodi di corruzione) e di formazione delle giovani generazioni. «È in questa storia lunga – risuonano ancora espressioni di Martini, Sturzo, Moro – che dobbiamo avere la forza di riconoscere e chiamare le cose con il loro nome, affrontando insieme, come scriveva proprio il cardinale Martini nel 1989, le questioni. Non possiamo solo affidarci alle inchieste, alle indagini e alle leggi. Il male va combattuto nelle nostre coscienze, nella coerenza dei comportamenti: o ci svegliamo tutti come cittadini o ci ritroveremo, tra 10 anni, a ripetere le stesse cose. Guardiamo a Martini che è stato un profeta».
Poi, un secondo giro di riflessione tra i relatori, con l’Arcivescovo che sottolinea: «Il male è certamente presente. Ritengo che, forse, la corruzione più pericolosa sia l’infiltrazione delle mafie attraverso la loro capacità di impadronirsi delle attività sul territorio, specie quelle che sono in crisi e hanno bisogno immediato di denaro liquido. Così, le mafie si ramificano in modo capillare, non mirando alla politica, ma al tessuto produttivo della nostra regione. Proprio questa presenza chiede sguardo vigile e senso critico da parte di tutti nell’abitare il territorio. Le persone concrete siano le protagoniste. L’impegno della Chiesa deve essere principalmente educativo, permettendo di aumentare la percezione del pericolo e alimentando anche la speranza, perché la mafia non è invincibile, ma abbiamo bisogno di elementi per saper reagire».
E le strade, per fare questo, sono segnate: «Non avere paura di un drago invincibile, ma coltivare la persuasione che un’economia sana resiste alla mafia». Come a dire: «non è l’indifferenza o la sfiducia nelle Istituzioni» a battere la criminalità organizzata, ma «la resistenza civica e la lucidità nell’interpretare ciò che accade». Il riferimento è alla lettera da lui scritta, lo scorso 2 gennaio, ai parroci proprio sui pericoli di questa infiltrazione, della corruzione e dell’usura. «La complicità tra la vittima, che talvolta si sente persino beneficata dall’essere aiutata economicamente, e il carnefice, ci impone di sentirci responsabili, intuendo quando uno sviluppo produttivo è sospetto, stando attenti con cittadinanza vigile. A questo dobbiamo educare, sottraendo vittime – specie i giovani – alla malavita organizzata e a tutto quello che ne consegue: disagio, gioco d’azzardo, usura. Solo insieme possiamo farcela. Nella nostra Diocesi abbiamo le risorse».
Gli strumenti, insomma, ci sono e la sensibilità anche se si esercita una «cittadinanza come custodia del bene comune e responsabilità educativa per offrire speranza e testimoniare che vale la pena vivere».
Sala, richiamando il Comitato Antimafia, promosso dal predecessore Giuliano Pisapia, e il Comitato di Legalità, sottolinea: «Il punto è misurare le persone. Misuratemi da ciò che si fa. Ai politici si deve chiedere di firmare Codici di condotta che impegnano i comportamenti e che, qualora siano violati, implichino le dimissioni. Nel momento in cui uno entra in politica è giusto chiedere di più, chiedergli che si sia più probo degli altri».