L’Arcivescovo è intervenuto all’11esimo Congresso nazionale Icar: «La Chiesa si prende cura ed è contro ogni stigma: Dio sta dalla parte di chi è nella necessità»
di Annamaria
Braccini
Un’alleanza per contrastare tutti insieme una malattia che ha seminato il terrore nel mondo e che oggi, in alcune parti del pianeta (purtroppo ancora solo quelle ricche) fa meno paura, ma continua a essere diffusa specie tra i giovani. Per questo appare particolarmente importante che ad affollare la grande Aula Magna a due piani dell’Università degli Studi di Milano, per l’11esimo Congresso nazionale Icar – l’Italian Conference on Aids and Antiviral Research -, siano soprattutto ragazzi e studenti. E di alleanza parla, allora, significativamente, anche l’Arcivescovo che partecipa ad alcuni momenti dell’Assise.
Infatti, l’appuntamento annuale (dal 5 al 7 giugno) si rivolge soprattutto alle giovani generazioni al fine di promuovere la ricerca interdisciplinare e internazionale, la visibilità dei clinici, dei ricercatori di base, degli infermieri, degli operatori nel sociale, dei volontari nelle associazioni attraverso le Scholarship Giovani Ricercatori e Scholarship Community.
Senza dimenticare la consegna degli attesi riconoscimenti ICAR-CROI Awards del concorso RaccontART (120 i partecipanti) andati a tre allievi di altrettanti Istituti italiani per una narrazione fotografica dell’Hiv, un docufilm e un racconto.
Milano, d’altra parte, è città da sempre sensibile al problema essendo stato il primo Comune a riconoscere la lotta all’Aids nella sua agenda e ad attivarsi. Queste sono le “luci” e, poi, ci sono le ombre con il dato che conta 400 nuovi infettati ogni anno che vivono nella metropoli, su un totale di 3500 nell’intero Paese.
L’intervento dell’Arcivescovo
«La prima parola che voglio dire è il desiderio di un’alleanza e la persuasione che la comunità scientifica, quella cristiana e la società civile hanno dimostrato di essere impegnate insieme in questi anni contro un nemico comune. La mia convinzione è che solo un’alleanza può contenere i danni, salvare vite e consentire un’esistenza degna anche a chi è infettato dal virus», sottolinea subito il vescovo Mario
Infatti, seppure la ricerca ha compiuto progressi impressionati, ancora oggi l’alleanza si rivela fondamentale se solo si pensa che le infezioni sono lungi dal calare e si devono ascrivere soprattutto (nell’84,3% dei casi) a rapporti sessuali non protetti. Cruciale così come è l’informazione – interessante che la maggioranza dei giovani si aspettino notizie dalla scuola, non dalla famiglia o dai social -, anche se tutto questo non basta.
«La semplice informazione non arriva a contrastare comportamenti che scoraggiano la diffusione dell’Aids nell’età evolutiva e adulta, motivando ad assumere comportamenti preventivi. Occorre anche un’opera educativa. Per questo la Chiesa si sente coinvolta nel promuovere un’alleanza che, proprio perché ha cura della persona, mette in atto non solo tutta la scienza possibile, ma tutte le attenzioni educative possibili».
Se la Chiesa ha costituito, nel tempo, tante comunità e forme di accompagnamento sempre disponibili, ciò «testimonia tale tipo di attenzione».
«Prendersi cura non è la compassione di un poco di elemosina, ma la costruzione di un sistema comunitario che permette a coloro che sono portatori del virus, di sentirsi assistiti, incoraggiati a trarre da sé tutte le risorse per essere attivi e vivi, per essere una presenza costruttiva per la comunità e non solo utenti di servizi pronti a ripiegarsi su se stessi».
«La nostra Chiesa si è data da fare esprimendo in molti modi forme di assistenza e di accoglienza, sia quando la malattia si rivelava mortale in tempi brevi, sia ora che, grazie ai progressi della scienza, sono possibili condizioni di vita sostenibili. Le comunità per coloro che erano in una fase acuta e le forme di accompagnamento attestano che i cristiani sono contro a ogni stigma che riduca la persona a un suo comportamento, a ogni giudizio che bolli qualcuno per un tratto della sua vita o per una sua condizione. Per la Chiesa conta sempre e soltanto l’integralità dell’essere umano».
«Questa attenzione si è caratterizzata nella vita della Chiesa di Milano con la creazione di comunità spesso gestite da Istituzioni religiose e dalla presenza di volontari di impressionante generosità».
Che si viva a Milano o in un’altra parte della terra – «una caratteristica della Chiesa ambrosiana» -, come la martoriata Africa, dove la felice esperienza del Mtendere Mission Hospital di Chirundu in Zambia, fondato da sacerdoti Fidei Donum ambrosiani negli anni Sessanta e ora affidato alla diocesi locale di Monze, rappresenta un prezioso presidio per la cura dell’Aids e contro la diffusione del virus specie a livello neonatale e del concepimento.
«L’Hiv, che è un nemico non solo dei Paesi benestanti, ma una piaga per i Paesi più poveri, ci ha indotto molte riflessioni e a un senso di responsabilità che affronta la questione a diversi livelli e in differenti ambienti». Così si è potuta «creare almeno una presenza simbolica in un mare di necessità», nota l’Arcivescovo.
E arriva un terzo passaggio: «Sono qui per portare la benedizione di Dio: questo è il mio contributo. Vi incoraggio e attendo che tutti insieme ci si impegni. Ma da che parte sta Dio? Sono qui a dire che Dio è alleato per coloro che si impegnano a sconfiggere il male e che la deriva dell’immaginazione umana di un Dio vendicativo è totalmente estranea alla mentalità cristiana. La benedizione è dire che Dio sta dalla parte di coloro che si prendono cura della bellezza della vita umana e di tutti quelli che sono nella necessità».