Esposti documenti e antiche pergamene che raccontano la vita e le imprese del diacono che nell'XI secolo guidò il movimento della pataria per il rinnovamento spirituale della Chiesa ambrosiana.
di Luca FRIGERIO
Redazione
«Vorrei che domani sugli altari della nostra città si ricollocassero finalmente le effigie dei due martiri dimenticati…». A parlare così, nel 1895, era un giovane e battagliero giornalista, già esponente di spicco del mondo cattolico ambrosiano, l’avvocato Filippo Meda. I due trascurati personaggi a cui egli faceva riferimento erano Arialdo ed Erlembaldo, diacono il primo, cavaliere il secondo, assassinati durante le lotte patarine nella Milano dell’XI secolo. Ad ascoltarlo, con vivo interesse, vi era il cardinal Ferrari. Che si prese così a cuore la vicenda dei due martiri, simbolo di una Chiesa che anelava ad essere santa e pura, da promuoverne il ripristino del culto, cosa che venne sancita dieci anni più tardi con l’approvazione di papa Pio X.
Di sant’Arialdo, in particolare, si ricorda oggi il millenario della nascita. Le celebrazioni sono promosse proprio dal suo paese natale, Cucciago, che ha già organizzato nei mesi scorsi una serie di iniziative e che ora propone una mostra di preziosi e antichi documenti che rievocano i fatti di cui fu protagonista il diacono e la storia del territorio canturino in cui visse. Pezzo forte della rassegna, in corso fino al 5 aprile presso la Sala consigliare del Comune di Cucciago, è l’unica copia esistente della Passione del beato Arialdo, una pergamena del XIII secolo, attualmente conservata alla Biblioteca Ambrosiana. Un manoscritto di eccezionale interesse, che racconta gli eventi che portarono al martirio di sant’Arialdo e che, per l’occasione, è “letta” nei suoi passi fondamentali in un video che accompagna l’evento. A completare l’esposizione, inoltre, sono qui presentati i testi di altri cronisti medievali che parlano del santo ambrosiano, dai due Landolfo (il Vecchio e il Giovane) ad Arnolfo, con accenti e posizioni, in verità, non sempre concordi… «Vorrei che domani sugli altari della nostra città si ricollocassero finalmente le effigie dei due martiri dimenticati…». A parlare così, nel 1895, era un giovane e battagliero giornalista, già esponente di spicco del mondo cattolico ambrosiano, l’avvocato Filippo Meda. I due trascurati personaggi a cui egli faceva riferimento erano Arialdo ed Erlembaldo, diacono il primo, cavaliere il secondo, assassinati durante le lotte patarine nella Milano dell’XI secolo. Ad ascoltarlo, con vivo interesse, vi era il cardinal Ferrari. Che si prese così a cuore la vicenda dei due martiri, simbolo di una Chiesa che anelava ad essere santa e pura, da promuoverne il ripristino del culto, cosa che venne sancita dieci anni più tardi con l’approvazione di papa Pio X.Di sant’Arialdo, in particolare, si ricorda oggi il millenario della nascita. Le celebrazioni sono promosse proprio dal suo paese natale, Cucciago, che ha già organizzato nei mesi scorsi una serie di iniziative e che ora propone una mostra di preziosi e antichi documenti che rievocano i fatti di cui fu protagonista il diacono e la storia del territorio canturino in cui visse. Pezzo forte della rassegna, in corso fino al 5 aprile presso la Sala consigliare del Comune di Cucciago, è l’unica copia esistente della Passione del beato Arialdo, una pergamena del XIII secolo, attualmente conservata alla Biblioteca Ambrosiana. Un manoscritto di eccezionale interesse, che racconta gli eventi che portarono al martirio di sant’Arialdo e che, per l’occasione, è “letta” nei suoi passi fondamentali in un video che accompagna l’evento. A completare l’esposizione, inoltre, sono qui presentati i testi di altri cronisti medievali che parlano del santo ambrosiano, dai due Landolfo (il Vecchio e il Giovane) ad Arnolfo, con accenti e posizioni, in verità, non sempre concordi… Maestro presso la Cattedrale La sua storia, del resto, è di quelle eroiche quanto dolorose. Ordinato diacono, maestro nelle arti liberali presso la scuola della cattedrale, Arialdo, di fronte alla dilagante corruzione di una parte della Chiesa locale, cominciò a predicare richiamando il clero alla necessità di riconoscere i propri errori e di emendarsi. Era il 1057. A Milano raccolse attorno a sè un nucleo di persone pronte ad agire pur di riportare all’originaria dignità le istituzioni ecclesiali: era l’inizio del movimento religioso popolare dei patarini (ovvero “straccioni”, in dialetto milanese).L’ira di Arialdo e dei suoi sostenitori si abbatteva sui sacerdoti indegni e concubinari, ma soprattutto su coloro che erano colpevoli di simonia, facendo mercato delle cose spirituali. Anche per questo, il diacono fondò due canoniche “modello” nelle quali i chierici professavano la vita comune ritmata dalla recita dell’ufficio e caratterizzata dalla pratica della carità: di quella di Cucciago (l’altra era a Milano) la mostra documenta le varie fasi, con pergamene e documenti notarili (ma anche con un raro torchio del XIII secolo!), fino al congiungimento con l’Abbazia di Fruttuaria e all’erezione dell’attuale prepositurale nel Settecento. Subì il martirio nel 1066 Arialdo, insomma, lottava per un rinnovamento della vita ecclesiastica milanese, appoggiato in questo da alcuni nobili, come Erlembaldo, appunto, ma soprattutto dal ceto più basso della popolazione. A tale rivendicazione, così si aggiunse ben presto anche un contrasto di tipo sociale, in cui intereagivano interessi politici e di potere. Lo scontro si fece più acceso quando fu eletto al soglio pontificio un sostenitore della prima ora del movimento della pataria, papa Alessandro II, milanese di Baggio, il quale scomunicò come simoniaco l’arcivescovo di Milano, Guido da Velate. Il diacono canturino, a questo punto, fu accusato di voler sottomettere la Chiesa ambrosiana all’autorità di Roma, motivo per cui si ritrovò sempre più isolato. Costretto ad abbandonare la città, Arialdo nel giugno del 1066 fu catturato e ucciso da due sacerdoti scellerati che fecero scempio del suo cadavere.«Dopo i sommi Ambrogio e Carlo», scrisse lo storico don Carlo Pellegrini, sul finire dell’Ottocento, a proposito di Arialdo e del suo compagno Erlembaldo, «io non so di alcun altro santo che abbia lasciato nella storia di questa nostra Chiesa ambrosiana un’orma più profonda del proprio passaggio di costoro». Una storia a lungo dimenticata, che oggi la mostra di Cucciago contribuisce a riportare alla luce. –