Il cardinale Scola ha presieduto, in un Duomo gremito di fedeli, la celebrazione eucaristica in memoria di san JoseMaría Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei, a quarant’anni dalla morte. Nelle parole dell’Arcivescovo l’invito a impegnarsi per la famiglia come primario soggetto di evangelizzazione
di Annamaria BRACCINI
“Pescatore di uomini”, come si dice nel Vangelo di Luca, per Pietro. Una definizione che ben si adatta a san JoseMaría Escrivá de Balaguer, per il quale, nella vigilia della sua memoria liturgica, il cardinale Scola presiede la Celebrazione Eucaristica.
In un Duomo gremito di fedeli, cooperatori, aderenti dell’Opus Dei, fondata da san Escrivá, concelebrano il vicario della Prelatura per l’Italia, don Matteo Fabbri, diversi sacerdoti, tra cui il Vescovo ausiliare, monsignor Martinelli, alcuni Vicari episcopali della Diocesi di Milano, il Moderatore Curiae e Canonici del Capitolo metropolitano.
Il saluto iniziale, portato da don Fabbri, ripercorre le attività più significative in cui sono stati impegnati, anche quest’anno, sacerdoti e laici della Prelatura, anzitutto nell’attenzione alla famiglia, nella formazione delle giovani generazioni, nella «mobilitazione educativa e sociale».
E, appunto sulla difesa e valorizzazione della famiglia, anche l’Arcivescovo invita a riflettere, con un lavoro continuo, nei luoghi della vita quotidiana, così come è nel carisma dell’Opus Dei.
«Voi tutti figli spirituali di san Josemaría, sapete come egli non si sia risparmiato nel dono di sé, nella consegna sacerdotale della sua vita perché altri uomini e donne di diversa età e di diverse culture potessero seguire con fedeltà la vocazione universale alla santità attraverso la vita ordinaria e il lavoro», sottolinea l’Arcivescovo.
Il pensiero è per «un frutto prezioso della vita» del fondatore che tornava alla Casa del Padre quarant’anni fa, il 26 giugno 1975: il beato Alvaro del Portillo, primo successore di Escrivá, beatificato a Madrid, sua città natale, lo scorso 27 settembre.
«Ho avuto occasione di conoscere e di approfondire il rapporto con don Alvaro durante l’Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sui fedeli laici svoltasi nel 1987. Mi ha sempre colpito la sua straordinaria acutezza umana, la sua delicata attenzione a tutti i particolari, espressione del desiderio di servire il Signore e la santa Chiesa. In occasione dell’Anno Internazionale della Famiglia proclamato dall’ONU nel 1994 e dopo la pubblicazione della Lettera alle Famiglie di san Giovanni Paolo II, don Alvaro volle scrivere a tutti gli aderenti all’Opus Dei una Lettera intitolata “La famiglia, vera scuola dell’amore”», spiega il Cardinale.
Le parole di quella Lettera sono il il filo rosso che riannoda la consegna sulla centralità della famiglia: “Com’è possibile imparare ad amare e a donarsi generosamente? Niente muove tanto ad amare, diceva san Tommaso, quanto il sapersi amati. Ed è proprio la famiglia – comunione di persone dove regna l’amore gratuito, disinteressato e generoso – il luogo dove si impara ad amare”.
«Oggi, a vent’anni di distanza, queste parole mantengono tutta la loro forza profetica e costituiscono una guida sicura per la nostra vita personale e per i lavori nella prossima Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo», continua Scola.
«La famiglia, infatti, è il primo e fondamentale soggetto di evangelizzazione, di annuncio del Cristo come avvenimento di salvezza; è la strada privilegiata perché la Chiesa riprenda decisa la via del quotidiano. La fede, infatti, si alimenta e cresce solo se penetra il tessuto ordinario, quotidiano dell’esistenza. Purtroppo il grande dramma del nostro tempo è la frattura – anche per moltissimi battezzati – tra fede e vita».
Come, allora, incarnare la fede, mostrandone la bellezza e la convenienza?
Chiara la risposta del Pastore: «Proprio la famiglia è, per ciascuno dei suoi membri, peculiare soggetto educativo e di trasmissione della fede e lo è in forza della grazia del Sacramento del matrimonio che, se assunta, trasforma sia i membri della famiglia stessa, sia tutte le loro relazioni». Da qui l’auspicio e l’invito: «Mobilitate la famiglia in quanto famiglia, nelle sue relazioni costitutive – i genitori, figli, nonni e parenti – alla testimonianza evangelica attraverso gli elementi che costituiscono l’esistenza quotidiana, gli affetti, il lavoro, il riposo, il dolore, il male fisico fino alla morte, il male morale, l’educazione, il contributo alla vita buona e giusta nella società plurale e l’edificazione di comunità ecclesiali aperte, in uscita ma dall’appartenenza forte, sottolinea significativamente l’Arcivescovo. Dilatate, come già state facendo sempre più, con naturalezza, attraverso momenti di condivisione e convivialità, questa ricchezza di vita a quanti la Provvidenza ogni giorno vi fa incontrare, perché cresca la fraternità tra persone e famiglie. È questa, insieme alla preghiera liturgica e personale, la strada maestra per la nuova evangelizzazione e il miglior modo per prepararci alla prossima Assemblea Sinodale».
Perché, come ricorda san Paolo nella Prima Lettera ai Corinti, occorre annunciare il Vangelo e questo è «l’orizzonte a cui tutti noi siamo chiamati sul lavoro, in casa, e in ogni ambito».
Un orizzonte che può far crescere «il nuovo umanesimo di cui ha urgente bisogno la nostra Milano, il Paese, tutta Europa e il mondo intero», attraverso «quella totale adesione al Vangelo che rende capaci di attuare una vera comunione di fede e di amore nella Chiesa».