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Che cosa evoca nei giovani d’oggi l’idea della vocazione religiosa? Come valutano i giovani questo tipo di scelta in rapporto alle molte opportunità di realizzazione oggi a disposizione? Quali tipi di vocazione religiosa apprezzano maggiormente? È attorno a interrogativi come questi che è stata progettata la ricerca promossa lo scorso anno dall’editrice San Paolo e i cui principali risultati sono contenuti nel volume “Chiamati a scegliere. I giovani italiani di fronte alla vocazione” curato dal prof. Franco Garelli, preside della facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Torino. Proponiamo lo stralcio in cui si parla di vocazione religiosa.

di Franco Garelli

Un dato sorprendente della ricerca “Chiamati a scegliere. I giovani italiani di fronte alla vocazione” èrappresentato dal numero dei giovani che dichiarano di aver pensato – nel corso della loro breve esistenza – di abbracciare la vita religiosa, in una delle forme in cui essa si realizza nel nostro ambiente sociale. L’idea di diventare sacerdote o membro di un ordine o congregazione religiosa (di vita attiva o contemplativa) ha coinvolto circa l’11% dei giovani italiani: una quota di popolazione assai ampia, che non sembra confermare l’opinione del tutto prevalente nell’immaginario collettivo (sia sociale che ecclesiale) che le nuove generazioni siano insensibili a una chiamata alla vita religiosa o che vi sia una crisi culturale nei confronti di questa prospettiva di vita. O meglio, la crisi sembra connessa più alla realizzazione di questa chiamata che alla sua nascita.

Guardando ai grandi numeri, infatti, il dato qui rilevato indica che circa un milione di giovani di età compresa tra i 16 e i 29 anni (che è l’arco di età su cui è stata svolta la nostra indagine) hanno manifestato nella loro vita una sia pur fugace idea di farsi prete o religioso/a. Se si tiene conto che oggi, in Italia, i giovani che si stanno formando al sacerdozio o alla vita religiosa sono poche migliaia di unità, appare evidente il grande gap che esiste in questo campo tra la diffusione di un’aspirazione iniziale e la possibilità di coltivare nel tempo questa scelta o orientamento.

Per i più sembra essersi trattato di un’intenzione dal fiato corto, come quelle che si maturano nell’infanzia o nella preadolescenza, che riflettono per lo più il ristretto ambiente di vita che si frequenta e che non sono state ancora passate al vaglio dalla varietà delle esperienze. Così, molti di questi giovani affermano di aver avuto quest’idea negli anni del catechismo o nella frequentazione degli ambienti e dei gruppi ecclesiali; o di aver pensato a questa scelta per meno di un anno. Ma a fianco di questi casi, ve ne sono altri che hanno protratto nel tempo questa intenzione: quasi il 20% dei giovani che sono stati interessati da questa prospettiva, vi ha riflettuto per più di 3 anni. Proiettando questi dati sull’insieme dei giovani italiani, si ricava un’indicazione di grande rilievo: per circa 200.000 giovani l’opzione ad una vita consacrata non sembra essere stato il sogno di un mattino, una toccata e fuga dalle deboli conseguenze per il proprio orizzonte di senso.

L’idea di vocazione religiosa appare dunque ancora sufficientemente diffusa nell’universo giovanile contemporaneo, anche se poi ha difficoltà a mantenersi nel tempo e a concretizzarsi, anche per il carattere impegnativo e selettivo di questo tipo di scelta. Gli ambienti e le figure religiose continuano ad esercitare un certo fascino su una quota non irrilevante di ragazzi e di adolescenti, mentre hanno molte più difficoltà ad accompagnarli nel loro percorso di crescita e di maturazione.

Se comunque la scelta di una vita religiosa è riconosciuta come una delle manifestazioni più alte della vocazione e viene presa in considerazione – come opzione di vita – da una certa quota di giovani (anche se per un arco limitato di tempo), questa rivalutazione va collocata sullo sfondo di una sensibilità culturale che valorizza tutte le scelte individuali in quanto espressione del diritto alla autodeterminazione. Si assiste peraltro a una crescente equiparazione della vocazione religiosa alle forme di vocazione laicale, di cui possono farsi interpreti le persone che vivono nel mondo. Anche tra i giovani che manifestano un più marcato orientamento religioso, la possibilità che qualcuno nella propria cerchia di relazioni opti per una vita consacrata è accolta positivamente, ma nello stesso tempo è diffusa la convinzione che un profilo esistenziale di alto impegno sia egualmente possibile per un laico così come per un religioso. In qualche modo, quindi, i giovani testimoniano un silenzioso mutamento culturale a favore di una democratizzazione delle scelte di vita: ciò che contraddistingue un’esistenza votata a una chiamata, a una causa o alla coltivazione di un talento, non è il fine verso cui è diretta (sacro o profano), bensì l’intensità e la qualità dell’impegno che richiede, la sua natura di scelta radicale ed esigente. Un sacerdote e un’assistente sociale, una suora missionaria e un medico realizzano delle vite di pari valore sul piano vocazionale. Di più, la stessa vocazione religiosa viene rivalutata soprattutto quando si traduce in forme di servizio di frontiera, ai margini della società o al cuore di problematiche sociali emergenti.

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