A trent’anni esatti dalla morte del Professore, la sua vita, il suo pensiero e il suo impegno si ripropongono con forza. Un convegno in Cattolica ne ricorda la limpida lezione di fede
di Luciano CAIMI
Presidente di Città dell’Uomo
All’alba del 18 maggio 1986, giorno di Pentecoste, Giuseppe Lazzati, ora Venerabile, concludeva la sua giornata terrena. Sono passati trent’anni. In Università Cattolica mercoledì 18 maggio la sua figura verrà ricordata alla presenza delle autorità accademiche e di esponenti del mondo diocesano.
Ho davanti agli occhi la sequenza nitida degli atti di congedo dell’illustre defunto: la bara sul pavimento della Cappella universitaria; l’omaggio ininterrotto alla salma (fra cui quello del presidente della Repubblica Francesco Cossiga); il rito funebre in Sant’Ambrogio presieduto dal cardinale Martini.
Nell’omelia l’Arcivescovo definì Lazzati «limpido testimone e impareggiabile maestro», «fedele e obbediente alla sua Chiesa», ma nel medesimo tempo «uomo libero, cristianamente franco nei giudizi». Poi aggiunse: «Il senso della ricca esistenza di questo grande laico cristiano del nostro tempo è tutto racchiuso nella doppia polarità della paradossale cittadinanza, cui fa cenno l’ignoto autore della Lettera a Diogneto». Martini sarebbe tornato a più riprese sulla figura del Professore, sempre con attestazioni di stima. Il 14 dicembre 1996, in Sant’Ambrogio, chiudendo la fase diocesana del processo di canonizzazione, osservava: «Lazzati ci appare in modo vero un uomo […] bruciato interiormente dal desiderio di corrispondere alla chiamata di Dio, di attuare in sé e nel mondo la verità del Vangelo. In lui il Vangelo di Gesù ha assunto il volto dell’uomo contemporaneo».
Trent’anni dopo ricordiamo ancora una volta l’indimenticato Professore. Nel frattempo il mondo è profondamente cambiato. I problemi della scena europea e mondiale li conosciamo bene. Siamo alle prese con crisi economica, globalizzazione, guerre, terrorismo, migrazioni di portata gigantesca. Anche il quadro politico nazionale dell’ultimo trentennio l’abbiamo davanti agli occhi, con le sue molte ombre e gli scarsi successi, insufficienti per accendere, soprattutto nelle nuove generazioni, sentimenti solidi di speranza e di fiducia verso il futuro. Da ultimo, il contesto ecclesiale, ricco di consolanti testimonianze (fra le quali, straordinaria, quella di papa Francesco), ma anche lacerato da gravi scandali.
Ebbene, a distanza di trent’anni e avendo presenti i tormentati scenari menzionati, ci ritroviamo a riflettere e a pregare nel nome di Giuseppe Lazzati, convinti, come recita il titolo dell’incontro in Cattolica, della «attualità» della sua testimonianza. Ciò significa che la sua vita, il suo pensiero e il suo impegno si ripropongono con non comune forza evocativa. Ne ricavo, sinteticamente, tre messaggi.
Il primo, di fedeltà all’umano nell’interezza delle sue espressioni. Lazzati visse in pieno la propria umanità, non desistendo mai dall’indicare nella coltivazione integrale dell’uomo un compito ineludibile per ciascuno. Il secondo messaggio concerne la vocazione del fedele laico. Questione sempre viva e meritevole di costanti approfondimenti intra-ecclesiali. Il terzo riguarda la responsabilità verso la «città dell’uomo». Per il cristiano dovrebbe essere tensione necessitante; purtroppo, per molti non lo è: era uno dei crucci maggiori di Giuseppe Lazzati!