Redazione
Colpita a 22 mesi da poliomielite, Luisa è stata operata agli arti inferiori per non rischiare l’amputazione. I medici erano convinti che non avrebbe mai più camminato. Poi l’incontro con don Carlo Gnocchi…
di Luisa Bove
E’ una storia toccante quella di Luisa Arnaboldi, ma lei stessa ammette che come la sua ne esistono tante altre. Nata a Brenna, a cinque chilometri da Inverigo, nel settembre 1944. Da piccola era una bambina vivacissima, sempre fuori a giocare e correre. Ma da tempo, tornando a casa, si lamentava: «Mamma bibi, mamma bibi» e indicava i piedini. Una volta – aveva solo 22 mesi – si svegliò di notte febbricitante. La madre si accorse in quel momento che la gamba sinistra di Luisa cedeva e sospettò subito la “paralisi infantile” (così chiamavano la poliomielite).
Il medico arrivò dopo ore e diagnosticò dolori reumatici, apostrofando la madre che pretendeva di «saperne più di lui». Tornò tre giorni dopo a visitare la piccola, che ormai non muoveva più neppure la gamba destra e un braccio. Aveva smesso anche di parlare. «Solo allora il medico si accorse che ero grave», racconta Arnaboldi, «e ordinò il ricovero urgente in ospedale». Dovette infatti riconoscere che si trattava davvero di poliomielite. I medici che avevano in cura Luisa fermarono il virus, ma dissero che «sarei rimasta sempre in carrozzina perché ero stata colpita in modo grave».
La prima carrozzina (di legno) gliela regalò il sindaco del paese quando aveva già 4 o 5 anni e così «i bambini mi portavano in giro, mentre le mie sorelle e mio padre mi trasportavano in braccio». La madre attraversò tre anni di esaurimento e provava nei confronti della figlia un profondo senso di colpa. Un giorno seppe che arrivava a Milano il famoso professor Annovazzi e così decise di fargli visitare la figlia. Il chirurgo disse che Luisa doveva essere operata al più presto se non si voleva rischiare l’amputazione delle gambe.
I suoi piedi si rattrappivano sempre di più e a lungo andare le avrebbero anche impedito di rimanere seduta. «Non pensava di operarmi per farmi camminare», dice Arnaboldi, «ma per permettermi di rimanere almeno seduta». Il primo intervento lo pagò la mutua, mentre il secondo lo donò lo stesso Annovazzi. Luisa tornò in reparto con un’ingessatura che le arrivava alle ascelle. Rimase così per circa un anno, poi il chirurgo le ordinò il tutore per evitare che le deformazioni tornassero. «Papà ha venduto una mucca per comperarmi i primi tutori», dice oggi la donna. Aveva allora 8 anni e quando le fu tolto definitivamente il gesso poté tornare finalmente a scuola, dove la trasportavano in braccio. «Intanto portavo i tutori, ma nessuno mi disse che avrei potuto stare in piedi».
«In quinta elementare è arrivata una giovane maestra di prima nomina e ha saputo del mio caso e mi ha accettata», racconta Arnaboldi. «Ero molto brava a scuola e aiutavo alcuni bambini a fare i compiti nell’osteria del paese». In cambio si faceva portare a giocare, era considerata la capo-banda. «Nonostante tutto», ammette oggi, «non ho avuto un’infanzia difficile». Al termine delle elementari le fu detto chiaramente che non poteva proseguire gli studi perché le medie a Brenna non esistevano e altrove era impossibile accompagnarla.
Era nata da poco la televisione e un giorno Luisa era alla solita osteria insieme ai compagni e vide in tv il presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Le venne l’idea di scrivere una lettera al capo dello Stato. E così fece: “Sono una bambina di 11 anni, mi piace molto studiare, ma la mia famiglia è povera, sono in carrozzina, non camminerò mai, però vorrei almeno andare a scuola…”. Il presidente non rispose al suo scritto, ma dopo un mese e mezzo andò a trovarla don Renato Pozzoli, che avendo saputo del suo desiderio di studiare, le propose di andare in un centro di don Gnocchi. «E così il 27 novembre 1955 – ricorda ancora la data – sono entrata in collegio a Pessano e ho finito la quinta elementare».
Un mese dopo Luisa è stata accompagnata da don Carlo Gnocchi, che era già a letto malato. «Lui stesso aveva voluto vedermi», racconta Arnaboldi, «perché desiderava conoscere le nuove entrate». Presentandogliela dissero: «È l’ultimo “acquisto”, si chiama Luisa e dice di voler camminare, ma i medici dichiarano che non è possibile».
«Don Carlo mi ha guardata negli occhi e io sono rimasta incantata», ammette la donna, «poi mi disse: “Ce la farai”». Furono parole profetiche. «Io ce la mettevo tutta, andavo in palestra, mi massaggiavano e cercavo di muovermi». A distanza di tanti anni ammette: «Ho trovato l’ambiente adatto e a poco a poco ho iniziato a camminare». Prima con un girello, poi ha usato le grucce a tre piedi (i tripodi) e infine le stampelle.
Oggi, non ha dubbi Luisa Arnaboldi e dice chiaramente che «tutta quella forza in me poteva diventare negativa e invece l’ho usata in positivo. Io ringrazio ancora il Signore della poliomielite e di tutto ciò che mi è successo, perché con il mio carattere forte, se ero sana, non so che cosa avrei combinato».