Redazione
«La prima volta che fai servizio te la ricordi», racconta Tina. «La tensione, però, è la stessa che provo ancora oggi». Fondamentali le competenze professionali, ma soprattutto la capacità di mettersi in sintonia con chi soffre. Una relazione che, nel credente, chiama in causa anche la fede.
di Stefania Cecchetti
È dal 1986 che Tina fa la volontaria sulle ambulanze della Croce Rossa. Praticamente una vita. Una volta mi è anche capitato di incontrarla mentre era in servizio e io stavo facevo la fila al pronto soccorso, dove ero finita per un banale incidente. Strano incontrare un’amica che sei abituato a vedere a matrimoni, battesimi e feste varie, con una divisa addosso e in un luogo di sofferenza. Per forza di cose la guardi sotto un altro punto di vista. E ti chiedi perché abbia fatto e continui a fare una scelta del genere.
Lei, questo è sicuro, non si sente per niente eroe: «È più un prendere che un dare. Certo, io metto in campo la mia professionalità e il mio tempo, ma sicuramente ricevo molto, altrimenti non sarei ancora qui. Che cosa mi dà il servizio in ambulanza? Non è facile da descrivere, ma fare ogni settimana una cosa che pensi utile agli altri serve a farti stare meglio. E poi incontri un’umanità che difficilmente avresti modo di conoscere nel solito giro di amici o in famiglia: dal senzatetto al riccone che ha l’appartamento in piazza Duomo. Certamente serve ad aprire i propri orizzonti e alla fine sei contento di tornare nel tuo letto, alla sera. Ringrazi il Signore di avere tutto quello che hai».
Ci sono tanti volontari che, al contrario di Tina, non sono cristiani. E del resto un ambito più neutro della Croce Rossa è difficile da immaginare. Ma chi crede ha un coinvolgimento personale diverso: «Ti confronti continuamente – spiega Tina – con la sofferenza e il problema della morte. Noi volontari non sappiamo mai come vanno a finire le storie che incrociamo. Ma il pensiero rimane e spesso si trasforma in una preghiera».
Oggi per fare il volontario in Croce Rossa c’è un corso molto impegnativo, che dura di nove mesi: «I presidi che si utilizzano, spiega Tina, sono ormai tanti e la professionalità ci vuole. Però rimane fondamentale la predisposizione a instaurare un buon rapporto le persone che incontri. È importante soprattutto rendersi conto che sono persone, prima che pazienti e cercare di capire i loro bisogni in un momento di paura e di difficoltà. Una buona empatia risolve molti problemi».
Finito il corso si sale in ambulanza: «La prima volta che fai servizio te la ricordi. Quella sera ci chiamarono per un’urgenza, ma alla fine si rivelò una cosa tranquilla. La tensione l’ho vissuta tutta, però. Ancora oggi, finché non vedo di cosa si tratta, sto col cuore in gola». Sarà per questo che fra i volontari si crea un legame molto forte, dice Tina: «Un’amicizia e un’intesa forse anche maggiore di quella che ho con molti dei miei amici di fuori».