Redazione
Il marketing ha un peso enorme, ma per fortuna non è ancora in grado di dettar legge nel sistema dei media. È quanto sostiene Ruggero Eugeni, professore associato di semiotica all’Università Cattolica, che aggiunge: «Un mezzo di informazione che spalancasse completamente le porte alla pubblicità tradirebbe se stesso e alla fine non farebbe gli interessi nemmeno dell’inserzionista».
di Francesco Chiavarini
La pubblicità è potente, ma non è l’unico sovrano dell’informazione. Ruggero Eugeni, professore associato di semiotica all’Università Cattolica, ragiona sul nodo della commistione notizie-pubblicità a partire dal libro di Giuseppe Altamore, recentemente uscito per Bruno Mondadori, che denuncia lo strapotere del marketing sui media.
Professore, chi sono i veri padroni delle notizie?
Certamente gli inserzionisti, ma non solo. Bisognerebbe infatti considerare, oltre a quello pubblicitario, anche gli altri poteri che influenzano il mondo dei media. Ne individuo almeno altri due, quello politico ed economico e un altro, tutto interno al sistema dei media, che riguarda il modo con il quale, per fattori diversi, le testate si richiamano tra loro, per cui ad esempio certe notizie hanno rilevanza solo perché sono state già riprese ad esempio da un giornale autorevole o, sempre più spesso, dalla Tv.
Non crede dunque che il marketing sia divenuto tanto aggressivo e pervasivo da riuscire ad orientare le notizie, a volte, persino a produrle?
Oggi le merci hanno un maggiore esigenza di visibilità al punto che, ad esempio, non cercano più solo spazio nell’universo dei media, ma direttamente nel mondo reale con l’organizzazione di eventi. Ma un mezzo di informazione che spalancasse completamente le porte tradirebbe se stesso e alla fine non farebbe gli interessi nemmeno dell’inserzionista. Mi spiego con un esempio limite. Prendiamo la free press. La stampa che si vende gratuitamente dovrebbe essere il regno incontrastato della pubblicità, dal momento che gli unici suoi introiti provengono dalle inserzioni. Eppure anche un giornale gratuito non può prescindere dal “fattore L”, cioè dai suoi lettori. Se concede troppo alla pubblicità, al punto che l’informazione ne è inquinata, perde di credibilità e chi lo legge sceglierà il giornale concorrente: fortunatamente ce ne sono diversi ed alcuni anche ben fatti. Perdendo il lettore quella testate perderà anche l’inserzionista.
Ovviamente, professore, questa tesi presuppone che il lettore sia sufficientemente avvertito per accorgersi che l’informazione è stata inquinata…
È vero. Ma credo che i lettori siano ormai sufficientemente maturi. Lo dimostra un altro caso di informazione gratuita, quella on line. Nella rete ci sono prodotti editoriali, accessibili gratuitamente, che pur vivendo di sola pubblicità riescono a essere di ottima qualità e a fare parecchi contatti.
In Italia ci sono 60 mila addetti stampa, tre per ogni giornalista professionista. Non è come se la fabbrica delle notizie si fosse trasferita fuori dalle redazioni?
Non penso che sia così. A mio avviso il sistema dell’informazione è ancora piuttosto impermeabile al fuoco di fila dei pr. Certo ci sono alcune eccezioni in settori specifici. Penso alla sezione spettacoli del «Corriere della Sera» che ha deciso di aprire agli uffici stampa. Ma in altri settori, anche molto delicati, il fronte ha tenuto. Per esempio i tantissimi e agguerritissimi addetti alle pubbliche relazioni delle aziende agro-alimentari non hanno impedito che i media dessero spazio agli scandali alimentari. A prescindere dal modo con cui lo hanno fatto, non ne avrebbero parlato se i padroni dell’informazione fossero stati gli uffici marketing delle aziende.