Con l’assemblea ecclesiale presso l’affollato Teatro Argentia, il cardinale ha dato il via alla Visita pastorale al Decanato di Melzo. «Vivendo lo stile e il pensiero di Gesù, costruiamo cultura», ha detto l’Arcivescovo

di Annamaria BRACCINI

 Visita pastorale Melzo1

Nel Teatro Argentia” di Gorgonzola gremito, è il “popolo della Martesana” che saluta il cardinale Scola, giunto in questa popolosa zona a est di Milano per aprire la Visita pastorale al Decanato di Melzo, uno dei più grandi della Diocesi con le sue 25 parrocchie (molte riunite in Comunità pastorali), per un totale di circa 130 mila abitanti diffusi sul territorio di 13 Comuni. A dare il benvenuto, accanto al Vicario della Zona pastorale VI padre Michele Elli, il decano don Gilberto Orsi, che parla dell’Arcivescovo come «Pastore, fratello, amico, venuto a sentire un poco del nostro profumo di santità e di gioia e a condividere le gioie, le speranze e le ferite».

Concepire la vita come offerta

«In questa assemblea vogliamo scrutare i segni dei tempi» dice il Cardinale, avviando la sua breve riflessione iniziale e specificando la natura di «un’assemblea ecclesiale che deve avere come impianto quella eucaristica». Liberi dall’esito, viviamo questo momento, «perché non siamo un partito» e non dobbiamo egemonizzare nessuno, suggerisce. «Dobbiamo, invece, riproporre questo stile di assemblea attraverso un ascolto di fecondazione tra noi, amandoci sull’esempio di Cristo senza perdere mai la certezza che se non diciamo “sì” alla sua chiamata e non ci lasciamo coinvolgere con il suo sacrificio non potremo mai essere felici». Chiaro, dunque, lo stile: «Concepire la vita come offerta nel richiamo a Gesù che ci parla che dice chi siamo al di là delle nostre fragilità». Altrettanto definita la ragione per cui si è scelta la formula detta “feriale” – «semplice, perché siamo in un tempo che esige sobrietà da parte di tutti» – e l’articolazione della Visita stessa in tre momenti per arrivare «alla fine, a individuare un passo su cui impegnarci».

Se la Visita pastorale, inoltre, «si pone, dal punto di vista generale, come dovere del Vescovo nei confronti del suo popolo», vi è poi la ragione specifica dell’iniziativa in atto: «Essere entrati in un’epoca che ha già lasciato alle spalle Cristo, come scrisse Montini nel 1934 a proposito della cultura». Sotto gli occhi di ognuno, la pervasività e gravità della medesima tendenza, oggi. Da qui il desiderio di chiedersi il perché di questo allontanamento. «Il fossato tra fede e vita che è andato sempre più allargandosi e che domanda di tornare a educarci al pensiero di Cristo – scandisce Scola -. Affrontando il quotidiano, dobbiamo avere la mentalità di Gesù, pensare Lui attraverso tutte e le cose, provando i suoi stessi sentimenti. Questo il compito e l’obiettivo».

Comunità pastorali e Chiesa missionaria 

Partono le domande. Giorgio da Vignate si interroga sulle Comunità pastorali: «Una scelta positiva e impegnativa, ma sarà sufficiente nei prossimi decenni e quale ruolo dovrà giocare il Decanato?». Giacomo di Pozzuolo Martesana chiede «da dove ripartire per far capire il volto missionario della Chiesa non solo nel momento del bisogno». 

«Il motivo che giustifica le Cp è la missione, anche se, certo, bisognerebbe fare un lavoro per ripensare anche il Decanato. In tempi in cui la mobilità è diventata molto accentuata, occorre inserirsi in questo movimento, raggiungendo le persone in tutti gli ambienti dell’umana esistenza. Basti pensare che, oggi, la metà delle persone che si trova davanti il sacerdote non appartengono alla parrocchia», spiega il Cardinale, che sottolinea con forza «la spinta originaria missionaria delle Comunità» e come non basti «stare fermi “sotto il campanile” ad aspettare». «Non bisogna avere paura di partire dal bisogno: lo faceva sempre Gesù, ma, come Lui, occorre dilatarlo in desiderio. È umano e normale condividere, ma dobbiamo ripartire dal perché e dal per Chi siamo cristiani. Tale “perché” fa scaturire il desiderio che rende appassionante stare con il Signore».

Fede e cultura

Massimo di Melzo: «La fede deve diventare cultura. Come le nostre comunità possono aiutare in questa conversione?». Don Gaudenzio, vicario della Comunità pastorale di Pessano con Bornago: «Come la famiglia è soggetto di pastorale ordinaria e cosa significa che la parrocchia è famiglia di famiglie?».

«La cultura non è un fatto libresco. Per il fatto stesso di essere uomo, l’uomo fa cultura», scandisce l’Arcivescovo, che esemplifica: «Se credo che rivedrò i miei cari e che tutto non finisca con la morte, è chiaro che avrò un rapporto diverso con i beni, con gli altri e con gli affetti, proprio perché l’eternità dà un senso diverso al tempo. La cultura viene, quindi, dall’esperienza della fede. Non a caso le parole coltura, cultura e culto hanno la stessa radice. Ricordiamo che Jacques Maritain diceva che gli intellettuali fanno una cultura di secondo grado, ossia meno importante della cultura primaria: ciò che comunichiamo con la nostra stessa vita ogni giorno agli altri. Vi è dunque la necessità di una conversione personale, perché soltanto immedesimandosi con Cristo e i fratelli si diviene capaci di giudizio sulla realtà e di appassionata ricerca di verità. Questa è la cultura in atto, in senso pieno».

Famiglia e porsi del soggetto

E sulla famiglia: «È fuori discussione che oggi la famiglia, pur con tutte le sue ferite, resti il luogo privilegiato in cui la dimensione culturale della fede si realizza. E di fatto è ciò che avviene. La famiglia è il primo dilatarsi dell’atteggiamento culturale per cui ci si educa secondo Cristo. Ma se la comunità non aiuta, sarà sempre più difficile comunicare tutto ciò. Ecco perché la nostra azione ecclesiale nei confronti della famiglia è ancora molto deficitaria». Fatto, questo, che oltretutto impedisce la vera valorizzazione del ruolo dei laici: «Viviamo il bisogno concreto, mentre molto spesso elaboriamo strategie. I Padri dicevano che la famiglia è la Chiesa domestica, ma non siamo mai riusciti ad attuarla pienamente. C’è bisogno di giocarsi, coinvolgersi. In questo il Decanato, come luogo di scambio continuo di esperienze, può essere molto utile»

Infine don Claudio di Pessano con Bornago: «Come essere testimoni gioiosi e simpatici del Regno di Dio in questo mondo?». «Il grande dimenticato dell’epoca moderna è il soggetto, mentre è decisiva la consapevolezza di essere un soggetto responsabile del rapporto con Dio, gli altri e se stessi. Occorre tornare al soggetto personale e comunitario, in ogni luogo in cui si cerca di vivere l’esperienza della Chiesa primitiva attraverso quelli che abbiamo chiamato, con Atti 2, 42-47, i quattro fondamentali della fede».

Come diceva Madre Teresa di Calcutta delle sue giovani consorelle: «Esse amano Gesù e trasformano in azione vivente questo amore. Non è l’iniziativa di successo, ma l’amore per Cristo che rompe l’indifferenza: nasce così la civiltà dell’amore. Cambia la storia se io cambio adesso».

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