Oltre a stimolare l’attenzione pubblica sul diaconato femminile, la recente udienza del Papa alle Superiore generali è servita a rilanciare il dibattito sulla donna come soggetto ecclesiale. L’esperienza in atto da mezzo secolo nella Chiesa ambrosiana rappresenta una forma originale di consacrazione e una via di autentica santità
delle AUSILIARIE DIOCESANE
Sono stati rilanciati con forza dai media gli echi dell’udienza di papa Francesco all’Unione Internazionale delle Superiore generali di giovedì 12 maggio. A catalizzare l’attenzione è la menzione delle diaconesse, ma al di là della specifica questione del diaconato femminile – che va studiata non solo per quanto riguarda il cristianesimo delle origini, ma anche per quanto riguarda la fedeltà al messaggio evangelico nell’oggi – la portata dell’incontro è maggiore. Durante l’udienza, infatti è stato possibile che alcune donne, in un clima di aperta conversazione, potessero dare voce, davanti al Papa e alla Chiesa, al desiderio che venga riconosciuta effettivamente la loro soggettualità ecclesiale nella corresponsabilità alla missione. È certamente troppo presto per parlare di cambiamenti epocali, di riforma e quant’altro, ma certamente il tema della missione della donna nella Chiesa fa parte delle ineludibili sfide ecclesiali che il Papa ha indicato nell’Evangelii Gaudium (cfr EG 103-104).
Alla possibile riforma dall’alto, però, corrisponde un effettivo e già esistente vissuto dal basso. Esistono e si stanno sviluppando, in Italia e nel mondo, varie esperienze di donne che condividono un medesimo carisma di servizio alla Chiesa locale o – se vogliamo usare termini più precisi – un ministero pastorale di fatto, nell’offerta della propria vita per l’edificazione della comunità cristiana, senza essere vincolate a uno specifico compito carismatico, quale, per esempio, quello dell’assistenza ai malati, dell’educazione, del soccorso ai poveri, ecc.
Nella nostra diocesi l’esperienza vanta già una cinquantina d’anni. Nell’intuizione è debitrice allo sguardo profetico del cardinale Montini, che già nel 1961 sognava l’inserimento a pieno titolo delle donne nella pastorale. Essa si poi è sviluppata e precisata man mano seguendo il cammino della Chiesa locale, in una storia di entusiasmo e fatica, pazienza e gioia, fino a essere riconosciuta come forma originale di consacrazione e via di autentica santità dalla Chiesa diocesana nel Sinodo 47°. È la nostra vicenda di Ausiliarie diocesane che, professando i consigli evangelici nelle mani dell’Arcivescovo e condividendone il ministero e la carità pastorale (cfr Sinodo 47°, 458 §3), offriamo la nostra vita al servizio della Chiesa locale e contribuiamo così a tratteggiarne il volto.
All’indomani dell’udienza, la nostra gente, quella in mezzo alla quale viviamo, ha istintivamente sovrapposto questo ministero di fatto al diaconato. In questi casi il rischio è quello di essere precipitosi e di soffocare in forme già determinate ciò che anche il cardinale Scola ha riconosciuto come novità dello Spirito e vocazione di grandissima attualità per la Chiesa di oggi. Come Ausiliarie diocesane, quindi, non possiamo che gioire per l’emergere di un tema che ci sta tanto a cuore e che probabilmente permetterà anche ad altre donne di precisare la direzione della loro offerta della vita. Come donne di Chiesa, ci sentiamo coinvolte in prima persona e auspichiamo che la riflessione venga portata avanti con le donne e che non si limiti alla Chiesa primitiva, ma si incarni nell’oggi e nella situazione della donna nella società.