Redazione

di Fabio Pizzul

Il Concilio Vaticano II ha rappresentato per l’Azione Cattolica una sorta di nuova nascita: quella che era l’associazione di riferimento per l’intera comunità ecclesiale italiana con il Concilio si è profondamente trasformata ed ha assunto connotati nuovi.

Dal punto di vista aridamente numerico, l’Azione Cattolica post conciliare si è scoperta decimata, ma si è profondamente riconosciuta nell’immagine di Chiesa che i Padri conciliari avevano delineato. Una Chiesa popolo di Dio e non solo istituzione, una Chiesa capace di valorizzare le diverse vocazioni e, nel contempo, di manifestare la propria unità, una Chiesa comunione che, proprio per questo, è testimone del Vangelo.

Ed è questo l’altro aspetto che ha letteralmente rivoluzionato la vita dell’Azione Cattolica: l’irrompere della Parola, il contatto diretto con la Bibbia, la necessità di porre salde radici in ciò che conta davvero. Da qui nasce quella scelta religiosa che è gesto di fedeltà al rinnovato spirito conciliare e non chiusura in uno sterile disimpegno.

L’AC ha accettato di farsi trasformare dal Concilio e ancora oggi è convinta che il cammino sulla strada tracciata 40 anni possa condurre l’intera Chiesa a una comunione che sia trasparente testimonianza del Vangelo.

Così che possa realizzarsi in ogni comunità locale quanto proposto nella conclusione della Gaudium et spes: «Sono più forti le cose che uniscono i fedeli che quelle che li dividono; ci sia unità nelle cose necessarie, libertà nelle cose dubbie e in tutto carità» (n.92).

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