La vocazione maturata da radici diverse, l’ordinazione a età diverse, il ministero svolto in campi differenti: quattro esperienze a confronto
di Ylenia SPINELLI
La vocazione maturata da radici diverse, l’ordinazione a età diverse, il ministero svolto in campi differenti: le esperienze di quattro diaconi permanenti ambrosiani a confronto nelle loro rispettive testimonianze.
Ireneo Mascheroni: «Cerco di organizzare la carità»
Ireneo Mascheroni appartiene a uno dei primi gruppi di diaconi permanenti della Diocesi, essendo stato ordinato nel 1994. Sposato da trent’anni e padre di tre figli, è un educatore professionale e si è sempre occupato di servizi sociali ed educativi alle persone in situazione di svantaggio. Svolge la sua diaconia presso il consultorio di Treviglio e Caravaggio.
«Dopo un’esperienza in Caritas Ambrosiana come responsabile dei giovani in servizio civile – spiega – da circa 15 anni abbiamo costituito una cooperativa sociale con 35 parrocchie del territorio di Treviglio, della diocesi di Milano e di Caravaggio (diocesi di Cremona). La cooperativa gestisce i due consultori familiari accreditati di Treviglio e Caravaggio e un centro di psicoterapia, dove si effettuano consulenze a trattamenti a favore di coppie e minori. La mia particolare posizione di diacono e direttore della cooperativa mi consente di mettere a frutto sia l’esperienza professionale, sia l’attenzione pastorale alle famiglie che attraversano momenti di prova e di difficoltà».
Come ama ripetere, suo compito è quello di cercare di “organizzare la carità” in quella periferia esistenziale rappresentata oggi dalla fragilità delle relazioni familiari. Spiega: «Ci sforziamo di promuovere risposte ai bisogni diversificati delle coppie, attraverso la gestione di consultori familiari cristianamente ispirati. Offriamo percorsi di consulenza o mediazione familiare alle coppie in crisi, corsi di educazione alla affettività nelle scuole e negli oratori, interventi di prevenzione e accompagnamento alla maternità negli ambulatori…». E per Mascheroni essere al servizio del Signore e della Chiesa, in questa forma particolare a favore della famiglia, non è che un dono grande.
Mario Sfligiotti: «Mi sono riplasmato a cinquant’anni»
Mario Sfligiotti è stato ordinato diacono due anni fa, dopo un lungo discernimento iniziato alla soglia dei cinquant’anni. Sposato, con tre figli ormai grandi, svolge il suo ministero presso il carcere milanese di San Vittore.
«Ho iniziato tre o quattro settimane dopo l’ordinazione, giusto il tempo necessario per avere i permessi di rito – ricorda -: entrare in carcere non è esattamente come andare in un qualsiasi ente di volontariato, almeno dal punto di vista giuridico. E non solo da quello!». Quanto allo specifico del suo ministero Sfligiotti spiega: «I primi mesi ho fatto poco più che “la bella statuina” durante i servizi liturgici. Il cappellano riteneva, con ragione, che i detenuti, gli agenti e il personale che opera nel carcere dovessero abituarsi a questa nuova figura. Nel frattempo cominciavo a costruire contatti personali che, nel tempo, sono sfociati in attività di ascolto (può sembrare strano, ma è una delle maggiori richieste che si ricevono), di consiglio tanto umano quanto spirituale, di preparazione ai sacramenti dell’iniziazione cristiana, di “conforto sacramentale” (porto la Comunione ad alcuni detenuti un paio di volte alla settimana). Proseguo naturalmente la regolare attività di servizio liturgico nella Messa festiva e, con cadenza meno frequente, presiedo la Liturgia della Parola».
Il diacono non manca di sottolineare le difficoltà di questo incarico, anche se preferisce definirle «la gioia di toccare con mano cosa significhi essere “Servo inutile”». Ma soprattutto Fligiotti non tace le inaspettate soddisfazioni: «Mettersi in gioco e aprirsi alla eventualità di essere “riplasmato” a cinquant’anni ha richiesto impegno, fatica e dedizione, ma mi ha sicuramente arricchito, umanamente e spiritualmente. L’esperienza che poi ho iniziato a San Vittore, cui si è aggiunto, poco prima dell’estate, il servizio di “ascolto spirituale” nel Duomo di Milano, ne è stato il naturale proseguimento».
Giorgio Campoleoni: «Lo sguardo agli ultimi»
Una solida fede trasmessa dai genitori, l’esperienza dello scoutismo e della missione come laico in Amazzonia. Da queste radici è nata la decisione di Giorgio Campoleoni di intraprendere il cammino diaconale, sempre appoggiato e condiviso dalla moglie, fino all’ordinazione avvenuta dieci anni fa. Da allora il diacono, residente a Maccagno, svolge il suo ministero nella parrocchia di Colmegna e da tre anni collabora anche con le parrocchie della Val Dumentina.
«La diaconia come collaboratore pastorale consiste nello scoprire tutte le fiammelle di carità che ci sono in una porzione di popolo, farle emergere e conoscere, stando attenti a che non si sentano mai superiori agli altri – spiega Campoleoni -. Avere dei doni e dei carismi serve a costruire una comunità, non a prevalere sugli altri. Questo cerco di attuarlo guardando sempre agli ultimi, quelli che contano poco, agli anziani ammalati con il conforto dell’Eucaristia o della visita, agli stranieri che arrivano con un dialogo e un’accoglienza intelligente».
Da sempre il diacono cerca di mettere in pratica la bellezza dell’ospitalità e l’accoglienza che ha imparato in Brasile. «Ora si è aggiunta una emergenza richiesta dalla Caritas di Como – racconta -, così abbiamo ospiti, in una casa di accoglienza per gruppi scout, 27 profughi nigeriani e ghanesi, che sono seguiti da una cooperativa e da alcuni scout adulti». Ma non è tutto, Campoleoni fa anche l’aiuto assistente degli scout di Luino, redigendo itinerari di catechismo per i campi invernali ed estivi; si occupa della preparazione ai Battesimi e alla Cresima degli adulti per quanto riguarda l’aspetto della dottrina sociale della Chiesa.
Stefano Orfei: «Medico e diacono, sempre a servizio dell’uomo»
«Non c’è differenza tra indossare il camice del medico e quello del diacono, perché ambedue si indossano per il servizio all’uomo». È così che Stefano Orfei, diacono dal 2002, padre di famiglia e geriatra ormai in pensione, sintetizza il suo modo di vivere il ministero, che si è sempre articolato in diversi ambiti, come lui stesso spiega: « Dalla data di ordinazione fino a prima dell’estate scorsa sono stato collaboratore pastorale della comunità Santa Teresa Benedetta della Croce in Lissone, città nella quale vivo; dal giugno scorso sono stato inserito nel gruppo dei diaconi che a turno in Duomo sono presenti presso il Centro di ascolto spirituale. Inoltre sono stato chiamato di recente a far parte dell’équipe della Fondazione Opera Aiuto Fraterno della Diocesi, che si occupa dei sacerdoti anziani, perché in quanto medico geriatra posso essere un utile ponte tra le strutture che accolgono i sacerdoti ammalati e tra i medici curanti degli stessi presbiteri, oppure essere a disposizione per tutto ciò che riguarda la parte sanitaria dell’Oaf. Attualmente presto servizio come consulente geriatra presso la Rsa di Lissone e offro le mie prestazioni professionali volontarie presso l’Ambulatorio dei Fratelli di San Francesco a Milano, dove vengono accolti e assistiti tutti coloro che hanno bisogno di prestazioni mediche, farmacologiche e di diagnostica strumentale e che non hanno nessuna possibilità perché extracomunitari o poveri».
Grandi difficoltà non ne ha mai incontrate, tante invece sono state le soddisfazioni e le possibilità di crescita spirituale. Una frase lo ha sempre accompagnato nel ministero: «Gratuitamente hai ricevuto, gratuitamente dai». Gliela disse il cardinale Martini prima dell’ordinazione. «Da allora – racconta Orfei – ho sempre cercato di attenermi a questo prezioso suggerimento, sia come diacono, sia come medico».