Il Cardinale è intervenuto alla presentazione dell’ “Atlante storico del Concilio Vaticano II”. Con lui hanno dialogato il curatore dell’opera, il vaticanista Alberto Melloni e il docente di Teologia allo Studio teologico di Catania, Pino Ruggieri
di Annamaria BRACCINI
L’evento-Concilio e i Documenti che ne furono il frutto, le ragioni di allora e le interpretazioni – spesso idelogiche – di oggi, i protagonisti rimasti nella storia e i nomi che pochi ricordano.
Forse, davvero, anche solo per orientarsi in ciò che fu il Vaticano II, occorreva un Atlante. Quello che, curato dal notissimo vaticanista Alberto Melloni e pubblicato da Jaca Book (pagine 280, 90 euro) è stato presentato a Milano nella prestigiosa Sala delle Accademie della Biblioteca Ambrosiana. A intervenire, oltre al Curatore, il cardinale Scola e il teologo Pino Ruggieri. Modera il giornalista Roberto Righetto che subito offre qualche cifra, magari inattesa, almeno per i “non addetti ai lavori”, come la durata del Concilio – poco più di tre anni – a fronte dei 18 del Tridentino o il fatto, definito una “leggenda”, che il Vaticano II sia stato “appiattito” sull’Europa. Certo, la maggioranza dei Padri proveniva dal Vecchio Continente (1060, pari 36%, del totale), ma ognuno di loro rappresentava 218.000 cattolici, mentre un Padre latinoamericano era in Vaticano per 220.000 propri credenti. Interessante anche che il Papa potesse seguire, dal suo studio privato, mediante un impianto a circuito chiuso messo a punto dalla Rai, i Lavori.
Insomma, fu – per usare una bella definizione – «una ricerca collettiva della strada comune», pur tra tensioni, discussioni, convergenze. Pino Ruggieri spiega che il grande merito di san Giovanni XXIII fu di indire l’Assise e quello di Paolo VI, che temeva una spaccatura dei Vescovi, di raggiungere l’unità, come sostanzialmente avvenne. Per questo «l’Atlante non serve per conoscere, in specifico, i singoli elementi conciliari, ma ci permette di cogliere il mutamento epocale che si produsse con il Vaticano II rendendo impossibile per sempre un’immagine della Chiesa come papato monarchico. E ci permette anche di cogliere il nucleo forte di ogni Concilio, che è soprattutto un luogo di formazione del consenso e nel quale la Chiesa, sollecitata dalle istanze che vengono dalla storia, ricerca un equilibrio nell’annuncio del Vangelo. Un Concilio, qualunque esso sia, sarà sempre diverso, ma non nella sua istanza fondamentale».
Per il Curatore, «la forza dell’evento conciliare fu mettere insieme le esperienze. Wojtyla disse – sottolinea, infatti, Melloni – “quando entrammo avevamo una testa e una Mitra, solo la Mitra è rimasta la stessa”. Ci interessava un racconto dell’evento con lo scopo, da un lato, di fare il nostro mestiere storico-critico, ma, dall’altro, di offrire qualcosa che possa servire alla vita della Chiesa e alla storia come oggi si dipana, in una situazione di lacerazione e di dominazione della cultura della guerra che sembra incoercibile».
Di “occasione” parla anche l’Arcivescovo: «Occorre mettere a fuoco alcune questioni ermeneutiche del Concilio che, a mio avviso, non possiamo dare per definitivamente risolte e che richiedono, da parte di tutti, ulteriore lavoro e dialogo. La recezione del Vaticano II continua e, se non altro, ha ridotto il tasso ideologico di chi pretenderebbe un terzo Concilio, mentre abbiamo ancora tanto da fare sul Secondo: questo è un bene».
Se fu il beato Paolo VI a vedere la storia della Chiesa quasi come una biografia, «questa stessa considerazione della Chiesa in chiave antropologica ci invita a pensare che la sua storia non può non avere anche i tratti di una biografia, per essere ancora più precisi, di un’agiografia, in quanto narrazione dell’opera della Grazia nella vita degli uomini e delle donne redenti».
Insomma, un “chi è la Chiesa” più che “cosa è” «L’Atlante è, quindi,. uno strumento prezioso per conoscere questo popolo, soggetto che pellegrina nella storia e condivide la vita di tutti lungo i secoli».
In tale orizzonte, tre i nodi fondamentali indicati dal Cardinale per lavorare per un’adeguata interpretazione bdel Vaticano II.
«Il primo è la necessità di riconoscere che la storia della Chiesa, senza cessare di essere storia in senso rigoroso, possiede per sua natura anche uno status teologico, in quanto, descrivendo il cammino del popolo di Dio attraverso i secoli verso la patria celeste, ha come protagonista il Padre che chiama gli uomini ad esserne co-agonisti. Su tale base, numerose controversie ermeneutiche che vedono storici e teologi accusarsi reciprocamente di letture riduttive o ideologiche, dovrebbero essere lasciate definitivamente da parte. Ovviamente, non è compito facile».
Difatti, quando si parla di “soggetto Chiesa” – ma questo dovrebbe essere un dato acquisito proprio grazie all’insegnamento conciliare – lo si intende secondo tutta la ricchezza della communio che vive secondo «il vero principio teologico della varietà e della pluriformità nell’unità, mentre tale criterio non è praticato a nessun livello oggi, se non a quello della Chiesa universale dove qualcosa si sta facendo», osserva Scola.
Poi, il secondo “nodo” identificabile con la cosiddetta “indole pastorale” del Vaticano II, la quale costituisce anche una chiave fondamentale per la comprensione della chiamata del Santo Padre a vivere come Chiesa in uscita attraverso la conversione, appunto, pastorale.
«L’”indole pastorale” mostra che la Chiesa appare come una realtà essenzialmente eccentrica, definibile solo in base a una duplice costitutiva relazione: a Cristo e alla sua missione, da una parte, e al mondo verso cui è continuamente ed essenzialmente inviata, dall’altra».
«La considerazione “pastorale” della Chiesa, l’identificazione del suo essere essenzialmente “eccentrica”, cioè missionaria, conduce a riconoscere che non c’è annuncio del Vangelo di Dio senza farsi carico del destinatario».
Infine, come terzo elemento, un interrogativo: «Tra evento e corpus dottrinale si dà conformità o antinomia? È possibile superare tale alternativa? A mio modo di vedere – conclude l’Arcivescovo – lo è se vengono assunte, fino in fondo, sia un’ermeneutica adeguata della storia sia l’indole pastorale, storico-salvifica, dell’insegnamento conciliare. L’ermeneutica della storia conciliare ci dice infatti che fu proprio l’urgenza missionaria ad imporre la domanda: “chi è la Chiesa?” Tale domanda trovò nel Concilio come evento, come espressione rappresentativa di tutta la realtà ecclesiale, la sua risposta. In questo senso, evento e testi sono semplicemente indisgiungibili. Tra evento e corpus dottrinale non c’è antinomia, ma omogeneità».
Si può tuttavia chiedersi: «esiste una sporgenza dell’evento rispetto ai testi? Si,esiste. La sporgenza è irriducibile perché è propria del cammino storico della Chiesa. C’è una dominante dell’evento. È al suo interno che si deve leggere l’incidenza del Concilio e il grado della sua recezione. Il rapporto indisgiungibile evento-corpus di insegnamenti, che non elude, ma valorizza, la questione dell’inevitabile e benefica sporgenza, fa emergere, ancora una volta, attraverso il peso dell’intenzione generativa dei Padri, in questo caso, e di tutti coloro che hanno collaborato, l’insostituibile ruolo del protagonista del Concilio e della recezione: il “soggetto Chiesa”».