Redazione

In 50 di presenza nei Paesi del sud del mondo i “fidei donum” hanno contribuito alla crescita delle Chiese locali.

di mons. Giovanni Giudici
delegato Cei per le missioni

È il 6 gennaio 1963. Nel Duomo di Milano l’arcivescovo Montini celebra il pontificale dell’Epifania. Nell’omelia parla del suo recente viaggio in Africa, nell’allora Rhodesia del Sud: «Kariba e Chirundu, due modeste stazioni missionarie nella Rhodesia del Sud, sul fiume Zambesi; vi sono tre sacerdoti nostri, due dei quali della diocesi di Lodi, e sette suore di Maria Bambina. L’assistenza ai nostri valorosi costruttori della diga ciclopica sullo Zambesi si è trasformata in missione per la popolazione indigena. […] Non sono due anni che questi due incipienti focolari missionari hanno iniziato il loro lavoro: e subito esso è fecondo, subito domanda di crescere. Palpitando di commozione io ho dato la Santa Cresima a gruppi già di nuovi cristiani. Non mancano le difficoltà certamente; ma l’umiltà e la pazienza le semplificano e in parte le superano. Pensavo al presepio di Betleem; non è così che nasce Gesù a questo mondo? Oh, stupenda povertà di questi umili inizi, ma già fiorente di preghiere e di scuole… Il Cristo rinasce! L’Epifania continua!».

Sono parole affettuose e ricche di speranza. Manifestano bene i sentimenti dei cattolici di quegli anni, ammirati del lavoro apostolico in Africa e in America Latina. Riascoltando queste parole, entriamo nel clima psicologico e spirituale nel quale i primi fidei donum sono partiti per la missione. Nei 50 anni passati da quell’inizio, i fidei donum hanno partecipato alla crescita di molte Chiese locali. Ci si può rallegrare di come l’opera dei preti diocesani in missione abbia contribuito a far crescere parrocchie e diocesi consistenti, abbia realizzato opere di servizio al miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni, abbia investito molto soprattutto nella educazione delle persone.

Il contributo dei sacerdoti fidei donum ha consentito di mostrare la figura del sacerdote diocesano all’opera nella pastorale. Infatti la quasi totalità delle giovani Chiese sono state fondate e formate da sacerdoti religiosi. Non è raro poi il caso di sacerdoti fidei donum cui il Vescovo locale richiede di svolgere impegni pastorali specifici; si tratta di avviare strutture più complesse per aiutare la gestione della diocesi nei campi dell’apostolato, della liturgia, dell’economia. Poco alla volta è mutata la relazione tra il sacerdote europeo e la struttura ecclesiale locale. Oggi i nuovi fidei donum sanno di giungere nelle giovani Chiese come collaboratori in comunità che poco alla volta realizzano la loro esperienza di vivere il Vangelo tra quelle genti e con i doni di quelle culture. Èil tempo dunque di riconoscere con chiarezza quale tipo di competenza un prete diocesano europeo porta alle giovani Chiese.

È interessante da ultimo considerare qual è l’esperienza che i preti fidei donum portano nelle nostre Chiese quando si attua il ritorno in Italia. Anzitutto vi è un cambiamento che riguarda loro stessi. L’esperienza in missione aiuta a interiorizzare in maniera personale e spiritualmente più viva il tema della testimonianza. Spesso per noi italiani la pastorale è cura e approfondimento della fede di chi già è battezzato. Al contrario il Vangelo ci è dato perché di esso sia data testimonianza nel mondo e non vi sono frontiere – né culturali, né etniche – a cui fermarsi nell’annunciare il Regno.

Chi torna dalla missione ha vissuto in giovani Chiese nelle quali il Vangelo si è impiantato assumendo la positività di quella cultura, gli aspetti umanizzanti delle tradizioni là presenti. Viene in luce l’importanza di una comunione di Chiesa che si sviluppa nel dialogo tra credenti e consente di comprendere l’altro e di valorizzarne le qualità positive.

Avere condiviso l’incredibile povertà di quei popoli, avere visto come le persone senza sicurezze economiche sanno affrontare con serenità un futuro incerto, aiuta chi ritorna in Italia a vivere un’essenzialità di beni, aiuta a tener viva una criticità a proposito della eccessiva abbondanza di beni, con tutto il danno recato dalla nostra rapacità alla nostra salute e all’equilibrio del pianeta.

Le caratteristiche del territorio e la condizione numerica di relativa minoranza che si incontra nelle giovani Chiese richiedono uno stile di lavoro pastorale che metta a frutto i mezzi scarsi e valorizzi la collaborazione tra pastori. In quelle Chiese più facilmente si offre ai credenti l’invito a vivere una maggiore corresponsabilità nella vita della Chiesa. Sono tratti preziosi di vita comunitaria che vengono importati tra noi dai fidei donum ritornati.

Così l’avventura dei fidei donum, iniziata per sostenere le giovani Chiese, si sta rivelando un aiuto a noi, per la trasformazione della nostra pastorale; essa è frutto di una comunione più viva e quindi più fedele al Vangelo in cui si legge che il Signore «li inviò a due a due…» (Lc 10,1).

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