Redazione

Occorre ripartire da un risveglio delle coscienze che analizzi
in profondità l’accaduto, agisca con fermezza ed equità sul
piano giudiziario e formuli rinnovate regole comportamentali

di monsignor Carlo Mazza
Direttore dell’Ufficio nazionale Cei
per la Pastorale del tempo libero, turismo e sport

Di fronte ai cocci frantumati dei vertici del “sistema” calcio, siamo tutti un po’ tristi e delusi, soprattutto per lo squallore dello spettacolo. Posti come spettatori un po’ ingenui davanti allo scoperchiamento di un mondo che si riteneva generalmente onesto e pulito, ci sentiamo sorpresi e nello stesso tempo ingannati. Così si è assistito a uno spettacolo indecente. Dopo le intercettazioni telefoniche, nessuno può dirsi innocente. Da tempo si conoscevano i legami tra calcio, poteri e affari senza farne nulla. Adesso si presenta l’occasione per disincentivare i vincoli occulti, per debellare soprattutto i vizi dell’arroganza, dell’incultura, della furberia, del lassismo, del falso come stile e metodo di vita.

Di riflesso, Calciopoli si presenta come una sconcertante “metafora del tradimento”, nella quale si riproduce rabbia, rancore, vendetta, nausea e nostalgia di un’età dell’oro. Questa condizione tende a sconfinare nell’immaginario sportivo, in una sorta di “sindrome da smarrimento” che corrode soprattutto gli appassionati, i tifosi, i giovani. Sul teatro mediatico compaiono in scena figure grigie, diffuse complicità perpetrate in un “sistema” senza regole, dove l’impunità garantisce convenienze, connivenze e ricatti. Qui pare di capire che i vari “giri” e “raggiri” si consumavano entro una logica che passava dal “padronato” alla goliardia, dalla battuta selvaggia e ammiccante all’intesa allusiva.

In tale contesto, la reazione collettiva è paragonabile a quanto accade nell’amore: se si viene traditi è come se si aprisse una ferita pungente e quasi insanabile. Il sentimento della delusione si allarga e si dilata a tal punto da apparire da una parte una sventura e dall’altra una solenne presa in giro. Questa ambivalenza porta a considerare Calciopoli sotto diversi e contrastanti profili, per cui, mentre ci si indigna ferocemente, si cerca di capire come è potuto accadere, con quali connivenze d’ambiente, con quali assuefazioni a stili illeciti di comportamento diffuso, tra l’altro supportati da linguaggi triviali, da giudizi dispregiativi e infine da minacciosità mafiose.

La disfatta dei “vertici” del calcio e di taluni club blasonati ripropone con tutta evidenza il discorso dell’etica pubblica. Un Paese civile, portatore e testimone di una civiltà invidiabile, anche sotto il profilo cristiano, non può certo accettare fatalisticamente una dequalificazione così macroscopica di un “mondo” che fa parte integrante della cultura italiana.

Ora, con equilibrio e buon senso, si dovrà far mano a una ricostruzione morale a partire dalle macerie, come dopo un terremoto. Secondo il nostro punto di vista, che radicalmente privilegia il primato dell’etica, anche nel mondo dello sport, la via maestra da seguire non è una generica ricognizione della vicenda, ma la presa d’atto, stanti i fatti contestati, di un fallimento. Al riguardo non ci soddisfa il ricorso a un certo “giustizialismo” che qui e là riecheggia, ma neppure ci uniamo a un certo “minimalismo” che riduce tutto a semplici “marachelle”, al detto “così fan tutti”. Se gravissima è la questione, lo è soprattutto sotto il profilo morale.

Di conseguenza appare davvero urgente uscire da questa sorta di “marmellata” con un netto soprassalto di coscienza che porti ad analisi serie e approfondite della situazione creatasi, e nel contempo spinga verso un “nuovo progetto” di sport, dove ogni componente faccia la sua parte, secondo regole di trasparenza, di giustizia, di solidarietà, di equità finanziaria. Per questo c’è bisogno di un “calcio nuovo”, non di una “cosa calcistica” che produrrà pure soldi e spettacolo, capace di dare spazio e speranza a vere opportunità di “vita”, perché sia degna e buona.

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