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Don Lorenzo Milani, assieme ai suoi ragazzi di Barbiana, affrontò il tema della pace a partire dai più poveri del pianeta, secondo l’insegnamento di Gandhi. Don Giovanni Catti, già docente di Pedagogia all’Università di Bologna, ha curato un interessante volume sull’argomento dal titolo «Don Milani e la pace», edito dalle Edizioni Abele.

di Luca Frigerio

Il Mahatma Gandhi lanciò una sfida al mondo mettendo in discussione il modo stesso in cui si pensa la pace. Don Lorenzo Milani, con i suoi ragazzi di Barbiana, approfondì questa tematica proponendo di partire proprio dai più poveri del pianeta, dai più deboli, da quanti pagano ingiustamente il prezzo di interessi altrui. Un messaggio, quello di Gandhi e di don Milani, complementare e ancora valido e attuale, in tutta la sua provocatorietà. Ce ne parla don Giovanni Catti, già docente di Pedagogia all’Università di Bologna, e curatore di un interessante volume dal titolo «Don Milani e la pace» (Edizioni Abele).

Don Lorenzo Milani e la pace. Quale rapporto?
A un primo sguardo l’opera e il pensiero di don Milani non appaiono direttamente come un’educazione alla pace. Eppure, chi riflette su questo problema comprende come don Milani abbia educato ad affrontare il conflitto in modo costruttivo, senza negarne l’esistenza. Sicuramente il suo pensiero si è concentrato su una nonviolenza attiva, sull’azione nonviolenta. Poi, a partire da un ordine del giorno di alcuni cappellani militari che qualificavano come viltà l’obiezione di coscienza, è nato il libro L’obbedienza non è più una virtù, in cui vi sono riflessioni approfondite di quanto la morale cattolica ha sempre asserito riguardo al rapporto tra la norma remota, ossia la legge, e la norma prossima, ossia la coscienza; riflessioni corredate da notizie storiche che evidenziano l’inutilità e la stoltezza del ricorso al massacro. Educare alla pace, insomma, significava per don Milani educare all’osservanza della legge e della coscienza proprio nell’ambito dei conflitti.

Il pacifismo in Italia è in debitore alle idee di don Milani o si è orientato verso altre posizioni e altri pensieri?
La voce di don Milani ha sicuramente provocato reazioni salutari, prima di tutto perchè il cosiddetto pacifismo uscisse da un ambito emotivo per passare a un ambito più riflessivo. Si può dire, addirittura, che figure coeve a don Milani siano assai deboli nella memoria delle giovani generazioni: basterebbe chiedere a un giovane progressista chi sia stato Che Guevara, o a un giovane cattolico chi sia stato Giorgio La Pira. Mentre si hanno prove che il nome di don Milani è più vivo di questi nella memoria delle generazioni salienti.

E la figura di Gandhi ha in qualche modo influenzato le considerazioni di don Milani sulla pace?
Èda notare la grande originalità della rielaborazione milaniana, e nelle sue pagine la scarsità di citazioni esplicite su Gandhi. Quindi, non si può parlare di una dipendenza di don Milani da Gandhi. Se di influsso si vuole parlare, si deve parlare di un influsso mediato, indiretto, circostanziato. E anche in questo, la voce di don Milani è purificatrice rispetto a un gandhismo curioso di cose esotiche, ma poco profondo nello studio di questa figura.

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