Redazione
Invecchiare significa perdere strutture e funzioni dell’organismo, quindi diventare vulnerabili. Lo prova il fatto che A Milano, durante l’ondata di calore del 2003, il numero di decessi degli ultrasettantacinquenni è aumentato del 43 per cento rispetto al 23 per cento della popolazione totale. Non bisogna dimenticare, però, che la “vera malattia” dell’anziano sta non tanto nella sua menomazione fisica, quanto nel non riconoscimento della sua normalità e del suo ruolo da parte della società.
di Carlo Vergani,
Direttore Cattedra Gerontologia e Geriatria, Università di Milano
«La vera salute non sopraggiunge forse perché si è capaci di scoprire la vera malattia?» si domanda Emanuele Severino. In effetti quando si parla di anziani la preoccupazione prevalente è la loro condizione fisica , compromessa da malattie croniche e da deficit funzionali che dipendono dal processo biologico dell’invecchiamento.
Invecchiare significa infatti perdere strutture e funzioni dell’organismo per cui l’anziano diventa vulnerabile e esposto al danno provocato da agenti interni ed esterni. A Milano durante l’ondata di calore del 2003 il numero di decessi degli ultrasettantacinquenni è aumentato del 43 per cento rispetto al 23 per cento della popolazione totale.
Nel corso della vita la fisiologia della persona cambia ed emergono nuove “normalità”. La diversità dei normali non viene riconosciuta perché si tende a prendere come standard di riferimento la condizione giovanile. Ci si preoccupa del comportamento del cervello senile normale che è diverso da quello del giovane mentre si dovrebbe accettare che l’anziano è dotato di una intelligenza più cristallizzata che fluida e che la sua memoria a breve termine viene meno. Spesso il confine su cui noi tracciamo la normalità è il confine dell’emarginazione.
La “vera malattia” degli anziani emerge quando accanto ai disturbi fisici si identificano i fattori contestuali che condizionano il vissuto personale. Il tema della periferia, cioè della marginalità della persona, proposto dal Cardinale Arcivescovo di Milano nel Discorso alla città del 2006, è centrale se si vuole migliorare la qualità della vita in età avanzata. A Milano un terzo degli anziani vive solo, in Italia nel 2006 il reddito medio più basso è quello percepito dalle famiglie costituite da anziani soli.
La povertà secondo Michael Marmot, Presidente della Commissione sui determinanti sociali della salute dell’Oms, non è solo una deprivazione materiale ma anche e soprattutto una mancanza di opportunità di crescita. Esiste la povertà “percepita” di chi è al di fuori del circuito sociale che porta alla “sindrome della barca alla deriva”, al lasciarsi andare che si trasforma in una forma di suicidio inosservato. «Non resisto a vivere da sola», ha scritto una anziana donna trovata alcuni giorni dopo il decesso nel 2002 in via Cesalpino a Milano.
È significativo che il 40 per cento degli ultrasettantacinquenni dichiari uno stato di salute buono o molto buono pur in presenza di una importante compromissione fisica: èil cosiddetto “paradosso della disabilità” che rileva ancora una volta come in età avanzata salute non significa assenza di malattia.
La “vera malattia” dell’anziano sta non tanto nella sua menomazione fisica quanto nel non riconoscimento della sua normalità e del suo ruolo da parte della società. «Se la malattia è l’espressione della vita di un individuo che si trova in situazioni sfavorevoli – ha scritto Rudolf Virchow – allora la malattia e il disagio su larga scala sono indicativi di un disturbo sociale».