Redazione

Mi chiamo Ornella. Purtroppo non posso dire di essere una “mamma coraggio”: a 18 anni ho abortito e poi non sono più diventata mamma. Succede spesso così. L’essere sola con il tuo problema ti porta a commettere il più grosso errore, uccidere tuo figlio. Dopo, intorno a te c’è solo buio, le motivazioni che ti eri costruita per giustificare quella scelta perdono consistenza, si dissolvono e lasciano il posto solo a tanta rabbia. Rabbia per non aver avuto la forza di accogliere un figlio. Per me il dramma è cominciato quando ho potuto vedere con i miei occhi che chi avevo abortito era gia un bambino e non, come mi dissero al consultorio, «un ammasso di cellule».

Il pensiero del mio bambino che non c’è più diventa assillante, capisci che tutto è stato ingiusto, profondamente ingiusto, e che non puoi parlarne con nessuno. So che alcune donne, passate attraverso la mia esperienza, sostengono di non provare sensi di colpa, forse non vogliono accettare la verità per evitare di soffrire. Ma quasi sempre questa maternità stroncata ha conseguenze tragiche e segrete; chi uccide suo figlio uccide in realtà se stessa. Un sincero cammino di dolore, di verità, di presa di coscienza è l’unico in grado di riaccendere la speranza nelle donne che hanno abortito.

Da questo orribile tunnel si può uscire, riscoprendo dentro di noi l’Amore. Un giorno, una ragazza che aveva abortito mi disse che era stanca di aggrapparsi a qualcuno per ricominciare, perché poi le capitava di scivolare di nuovo nel suo dolore. Le ho risposto di affidarsi a Dio, perché per ricominciare ad amare dobbiamo sperimentare la gioia grande di essere per primi amati. E dopo, troviamo pace e serenità nel cercare di evitare alle altre il dramma che abbiamo vissuto noi. E’ questo che ho fatto in questi anni; nel quotidiano impegno all’interno del Centro di Aiuto alla Vita penso di aver imparato una cosa consolante: quanto abbiamo seminato non è mai perduto.

Nei consultori pubblici spesso il tutto si risolve nella programmazione di un piano contraccettivo per il futuro, mentre per il bambino che c’è già non è prevista alcuna iniziativa di salvezza. In quanti consultori la donna viene avvertita che esistono i Centri e i Servizi di Aiuto alla Vita, che lì è possibile trovare un aiuto per tutt’e due?

Spesso la donna va ad abortire convinta del fatto che quell’intervento sia del tutto normale, come un’appendicite, pensando che «se la legge lo permette, allora è giusto». In questo modo la donna è vittima di una legge profondamente ingiusta, senza sapere che quel gesto provocherà due vittime, il suo bambino e lei stessa.

Per questo io mi rivolgo ai consultori pubblici, chiedendo in modo accorato a chi vi lavora di pensare al dramma senza fine che produce un aborto e pregandoli di segnalare a quelle mamme l’alternativa dei nostri Centri per la Vita. I Centri non vogliono sostituirsi ai consultori, ma vogliono collaborare per salvare vite umane e difendere la dignità della donna.

Siamo qui pronte a difendere la vera libertà delle donne, perché l’aborto non è certo un atto di liberazione… ma di profonda e ingiusta schiavitù: quel figlio negato sarà una voce che ti accompagna per tutta la vita, e che grida dentro di te; è la voce di un amore che la sua stessa mamma ha deciso di trattare come una cosa che non le apparteneva. Ma invece quella che lei ha negato era anche la sua vita, anche la sua storia, anche la sua capacità e voglia di amare.

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