Redazione

Nel periodo “clandestino” in Italia, che va dal 1928 al 1945, le avversità incontrate dagli scout hanno messo a dura prova la loro fede alla promessa.

di Carlo Verga

Lo scioglimento dell’Asci ebbe un prologo nel 1927, ma il Decreto governativo fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale nel 1928. L’incompatibilità tra il fascismo e lo scoutismo era però nell’aria da tempo. Mussolini – con il suo dire che tutti i giovani italiani erano “Balilla” – già aveva fatto capire che non ammetteva intralci nell’imporre la sua dittatura in ogni campo, specialmente in quello educativo, imperniato sul militarismo, su un esasperato nazionalismo e su un’educazione di massa. In queste sue stesse parole vediamo l’insofferenza del fascismo verso l’Asci: «Abbiamo bisogno di dare ai giovani il senso della virilità, della potenza, della conquista, di ispirar loro la nostra fede».

Da una parte l’imposizione, la dittatura che sopprime la libertà dell’uomo; dall’altra la vera ricerca del bene comune, che affratella i popoli. Una distanza abissale tra due opposte concezioni di vita.

A far le spese di questa dolorosa situazione doveva essere tutto il movimento scout in Italia. E se ne vide la premessa con l’uccisione ad Argenta di don Minzoni, primo martire scout (1923). Ma è tutto il periodo della clandestinità a essere costellato di soprusi, angherie, persecuzioni, aumentate a dismisura negli ultimi anni di guerra (dal 1943 al 1945), con deportazioni nei campi di concentramento nazi-fascisti che provocarono la morte di alcuni, come Carlo Bianchi, Nino Verri, Teresio Olivelli, Rolando Petrini.

Davanti a tanto accanimento contro questi clandestini duri a cedere, anziché arrendersi, ecco essi anzi adoperarsi per un’azione diametralmente opposta: salvare molti perseguitati e aiutare ebrei e renitenti alla leva a passare oltre il confine. E a situazione politico-militare invertita, quando i sofferenti furono i fascisti e i nazisti, ecco gli scout prestare loro soccorso, come avvenne per esempio alla stazione di Sesto San Giovanni al passare di un treno di prigionieri tedeschi. Questo è quanto ha fatto l’Opera Scoutistica Cattolica Aiuto Ricercati (Oscar).

Ciò che può apparire sorprendente, oltre a questa forza di andar controcorrente, fu la costanza degli scout nel proseguire a fare campi estivi e invernali e varie uscite. Naturalmente c’era l’accortezza di evitare di farsi sorprendere in divisa; perciò si sceglievano luoghi appartati, come le Groane, i cascinali della Bassa Milanese, e soprattutto la Val Codera nel Chiavennasco e il Campo di Colico. Questi ultimi due ormai diventati luoghi storici delle “Aquile Randagie”. In loro, attratte da un grande fascino della natura, non venne mai meno lo spirito d’avventura. Senza sede stabile, senza sostegno economico, senza mezzi di trasporto se non l’inseparabile bicicletta, questi scout avevano stretto una invidiabile fratellanza. Erano operai, impiegati, professionisti, studenti appartenenti a più disparate famiglie per ceto sociale. Diversi anche per età.

Ci si può allora domandare quale strano cemento le tenesse assieme, se non la loro formazione spirituale. Loro capo riconosciuto era Giulio Uccellini (Kelly), figura carismatica di scout, e loro assistente don Andrea Ghetti (Baden), insieme a tanti altri sacerdoti scout. Senza queste guide forse il gruppo si sarebbe sentito meno forte e compatto: oltre che dal loro esempio, era attratto da tanta simpatia per il loro modo di comportarsi, caratterizzato da ironia, bonari scherzi e molta vivacità.

Nel periodo clandestino lo scoutismo ha dato prova di essere un movimento non di facciata, quanto piuttosto dotato di un “lievito” tutto particolare nell’animo di ognuno dei suoi aderenti, tesi a realizzare il vero uomo.

Nel centenario dello scoutismo l’Agesci, dedicando un particolare ricordo alle “Aquile Randagie”, certo ha inteso ringraziarle per la forza e il coraggio dimostrati in quel periodo. Loro dal Cielo sembrano dirci: «Non esagerate!.. Abbiamo fatto solo del nostro meglio. Voi continuate sulla strada giusta».

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