Redazione
Testimonianza di Luciano Gualzetti
Che il cristiano debba offrire il suo apporto al benessere, alla coesione, alla maturazione e allo sviluppo della società del proprio tempo è un assunto che nessuno discute. Ma la traduzione in atto di questo principio è assai complessa, e lo è ancora di più se il cristiano si trova a operare negli organismi che sono espressione della comunità ecclesiale sui fronti della solidarietà organizzata e della pastorale della carità.
«La Caritas e gli organismi di ispirazione cristiana non possono ridursi a operare come ambulanza della storia», si afferma spesso. A sottintendere che l’impegno per le persone fragili, sole, marginali, povere, disabili, migranti deve sprigionare – se condotto da un cristiano – un di più di testimonianza e, al limite, di annuncio. Deve, insomma, chinarsi sulle ferite del mondo non semplicemente per tentare di suturarle, ma anche per suggerire che siamo tutti destinati – inclusi ed esclusi, primi e ultimi – a un domani eterno senza più ferite, senza più ingiustizie e povertà.
Un compito, non c’è che dire, appassionante. Ma allo stesso tempo fonte di inquietudine. Le risposte che offriamo ai bisogni dei poveri sono adeguate, efficaci nel promuoverne i diritti e accompagnarne le traiettorie di vita? Sarebbe già molto. Ma sappiamo che devono essere anche educative nei confronti della comunità cristiana, promotrici di un costume sociale di solidarietà diffusa, “scomode” per una politica che non può sacrificare la giustizia sociale sull’altare della competizione economica, anticipatrici di nuove forme di dialogo tra le culture, ispiratrici di gesti di riconciliazione e di pace.
Insomma, siamo chiamati non solo a curarci dell’area del disagio, per ridurla e sterilizzarla in nome di una funzionalità sociale segnata da stabilità, equa ripartizione delle risorse, rispetto dei diritti fondamentali di ciascuno. Siamo chiamati, in ultima analisi, a una profezia dei gesti, che sveli la possibilità di una convivenza tra gli uomini ispirata all’amore detto nel Vangelo.