Le magliette di «Batticuore» sono state distribuite dalla cooperativa di Fagnano Olona, dove lavorano persone detenute nel carcere di Busto Arsizio: un impiego che dà modo di respirare l’aria del mondo esterno
di Claudio
Urbano
È una grande squadra, quella dell’oratorio estivo: non solo bambini, ragazzi, educatori. Ma anche tutti quelli che lavorano fuori dal campo.
Ernesto (il nome è di fantasia) in questo grande gruppo ha giocato il ruolo di magazziniere. Dalle sue mani, o meglio dal suo muletto, sono passate le circa 100 mila magliette di «Batticuore» che in queste settimane si fanno notare nei nostri quartieri. Ernesto è uno dei detenuti che lavorano nella cooperativa La Valle di Ezechiele, fondata da don David Riboldi a fine 2020 per dare una possibilità a chi sta scontando la pena nel carcere di Busto Arsizio.
Zero recidive
«Entrando in carcere si fa spesso l’esperienza di Ezechiele, che si trova a camminare in una valle piena di ossa inaridite. Il Signore rimette insieme i pezzi. Non butta via niente, ma mette ogni cosa al suo posto e vi soffia il suo Spirito creatore», ricorda don Riboldi, che prima di diventare cappellano a Busto è stato responsabile degli oratori di Cernusco. Da qui l’idea della cooperativa, che dà un’opportunità di formazione e lavoro ai detenuti. «Ci occupiamo principalmente di digitalizzazione di archivi cartacei», spiega il sacerdote.
Ma il grande capannone di Fagnano Olona ospita anche altre attività, dai cesti natalizi alla logistica delle magliette, appunto. «Finora da noi hanno lavorato dieci detenuti e nessuno è tornato in carcere», sottolinea il cappellano. Un tasso di recidiva pari a zero, dunque, che secondo don Riboldi ha una chiave: l’impiego nella cooperativa permette a chi sta terminando la pena di respirare l’aria del mondo esterno. Altrimenti, spiega, «i carcerati e gli ex carcerati finiscono per stare solo tra loro, e questo è uno dei primi fattori di recidiva».
Un gioco di squadra
Per Ernesto, invece, «queste sono magliette che liberano», sintetizza il cappellano. Gestire questa commessa gli permette infatti di trascorrere praticamente tutta la giornata all’esterno del carcere. «E nel fine settimana ho tempo per vedere le mie bambine. Io le chiamo così – scherza Ernesto raccontando di sé -, ma delle mie tre figlie quella piccola è una sola; una ormai è maggiorenne e l’altra lo diventerà a breve». Anche per lui c’è stato un gioco di squadra: ci tiene infatti a ringraziare non solo la cooperativa, ma anche l’avvocato e il giudice. Perché la possibilità di lavorare all’esterno del carcere passa sempre da richieste specifiche e valutazioni di ogni singolo caso. Il lavoro prosegue anche in questi giorni: «Si parla di oratori milanesi, ma le magliette arrivano fino in Puglia», sottolinea Ernesto, perché la storia di «Batticuore» è adottata da molti altri oratori in Italia.
Oltre al lavoro, poi, per i detenuti è importante potersi raccontare direttamente al mondo esterno. Per questo alla cooperativa fanno spesso visita gruppi di scout, scuole e oratori. «Abbiamo la possibilità di fare qualche colloquio coi ragazzi, di poter spiegare i nostri errori e del perché sia importante non farli – testimonia Ernesto -. Per i detenuti è una possibilità di raccontare non il proprio passato criminoso, ma il proprio presente lavorativo, aggiunge don Riboldi. «E per i ragazzi è una possibilità di riflettere sul senso della pena, che dovrebbe essere ricca di possibilità formative e lavorative». Una partita seria, dunque, in cui tutti i ruoli sono importanti.