Redazione

Racconta uno degli autori: «La maggiore conoscenza dell’opera lazzatiana mi ha richiesto, cammin facendo, un rigore metodologico che sottraesse il mio lavoro dal peso ideologizzante di un’impostazione apologetica e agiografica. Le peculiarità che più mi hanno impressionato riguardano senza dubbio la sua dedizione incondizionata all’obbedienza cristiana e il suo profondo spirito di preghiera».

di Sandro Parola

Non poteva non lasciarmi impresse diverse tracce il percorso di studio e ricerca che ha portato alla stesura della biografia Lazzati. Una sentinella nella notte (1909-1986) (Il Mulino, 880 pagine, 45 euro).

La convivenza durata oltre 5 anni con scritti, lettere e documenti vari riguardanti la sua complessa e articolata vicenda biografica è stata una palestra altamente formativa. Sono perciò grato anzitutto a chi mi ha permesso di confrontarmi con la figura di Lazzati, ponendomi la questione culturale di cosa significa scrivere una biografia criticamente fondata.

Infatti è stato naturale chiedermi come p otessi restituire un’immagine il più possibile fedele del professore milanese, utilizzando un genere che tradizionalmente è giudicato divulgativo e con una funzione didattica ed edificante, più che scientifica.

Eppure proprio la maggiore conoscenza dell’opera lazzatiana mi ha richiesto, cammin facendo, un rigore metodologico che sottraesse il mio lavoro dal peso ideologizzante di un’impostazione apologetica e agiografica. Le peculiarità che più mi hanno impressionato riguardano senza dubbio la sua dedizione incondizionata all’obbedienza cristiana e il suo profondo spirito di preghiera.

Uomo di fede e di cultura, Lazzati è stato veramente una figura esemplare di cristiano ambrosiano. La biografia in qualche modo ne ha evidenziato anche la funzione profetica, oggi più che un tempo forse un po’ scomoda e inattuale.

Ma personalmente mi ha colpito di più la sua straordinaria sicurezza e determinazione, fin dalla gioventù, nella scelta vocazionale: aver abbracciato il celibato e la consacrazione laicale all’età di 22 anni, è qualcosa di sconcertante, oggi quasi inconcepibile, se si considerano i termini lucidi e netti con cui tale scelta venne fatta una volta per sempre.

Se penso alle incertezze e alle difficoltà dei giovani d’oggi, mi sembra che il riferimento al modello lazzatiano vada a segnare anche una distanza e una distinzione rispetto a un’epoca che non è più. Ed egli, credo, ci insegnerebbe a fare i conti con ogni situazione storica, a comprenderne le ragioni profonde, a discernere i segni dei tempi.

Del resto, da cristiano tutto d’un pezzo qual è stato, Lazzati ha colto e indicato che la questione fondamentale è comprendere la rilevanza antropologica della fede, in ogni contesto e situazione. Con il suo appassionato impegno volto a far crescere nella Chiesa la dimensione della laicità, Lazzati ha spesso combattuto contro la riduzione del Vangelo a morale.

Tutto il suo lavoro compiuto in termini di mediazione culturale è caratterizzato dal rispetto delle leggi proprie delle realtà mondane. Come educatore di coscienze ha sempre richiamato l’attenzione sulla necessità della fede cristiana di ripensarsi all’interno e non contro la moderna cultura antropocentrica.

In questi temi, e nelle riflessioni che Lazzati ci ha lasciato, è possibile intravedere una serie di problemi ancora aperti e, soprattutto, delle piste di superamento tuttora valide. L’incontro con Lazzati è avvenuto, nel corso di questi anni, anche attraverso le tante eredità che egli ha lasciato.

Il non appartenere alla generazione di coloro che l’hanno conosciuto e avuto per maestro ha rappresentato indubbiamente un handicap: il prezzo pagato in termini di errori, lacune e incomprensioni è stato forse superato solo grazie alla consapevolezza che ogni lavoro storico, in quanto tale, è sempre provvisorio e aperto a future integrazioni. Anche questa è una lezione preziosa, di cui fare tesoro.

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