Il Cardinale ha presieduto in Duomo il Pontificale nella Solennità di Tutti i Santi, delineando il significato di una festa che indica la necessità di una santità quotidiana. Al termine della celebrazione l’Arcivescovo ha benedetto la reliquia del beato Paolo VI, posizionata definitivamente in Cattedrale presso l’altare di Sant’Agata
di Annamaria BRACCINI
La santità che è non solo quella degli onori degli altari, ma la quotidiana pazienza di una vita vissuta, in ogni circostanza e rapporto, testimoniando la fede in Cristo.
Nella solennità di Tutti i Santi il cardinale Scola, che presiede in Duomo il Pontificale, concelebrato dal Capitolo metropolitano della Cattedrale, definisce il senso di un essere santi che riguarda ognuno, ogni giorno. Proprio perché, «la Chiesa non è un recinto di privilegiati, separato dal resto degli uomini e delle donne e, per questo, estraneo alla loro esistenza. Nessuno è escluso dalla misericordia del Padre rivelata in Gesù e donataci dallo Spirito. Nella nostra fede non c’è spazio per un’attitudine di esclusione».
Da qui, la fondamentale chiamata che riguarda tutti in quanto redenti dal Crocifisso, sull’esempio, certo, dei grandi Santi, di cui «immaginiamo un’esistenza piena di gesti eroici, inimitabili, fonte di ammirazione». Eppure, oltre tale senso innegabile, è un altro il significato della Festa del 1 novembre che ha lo scopo di «smentire questa immagine, se viene radicalizzata».
La grande tribolazione in cui spesso ci raggiunge la redenzione del Signore, infatti, non indica solo, «né soprattutto il martirio del sangue, ma anche il martirio del quotidiano – il martirio della pazienza – che è per tutti, ciascuno nelle sue particolari condizioni. Martirio che non è meno drammatico, perché mette in gioco fino in fondo la nostra libertà. La chiamata a far parte della moltitudine dei Santi richiede ogni giorno, con pazienza, il nostro sì a Cristo attraverso tutte le circostanze favorevoli o sfavorevoli e tutti i rapporti facili e difficili, in un dono quotidiano della vita, nonostante i nostri limiti, difetti, peccati che si fanno noiosi e ripetitivi con il passare degli anni».
Un “sì”, insomma che è sempre possibile, come dice con chiarezza la celeberrima pagina di Matteo 5, letta nella solenne Liturgia della Parola.
«Abbiamo ascoltato nel Vangelo che Gesù proclama beati coloro che sono poveri in spirito, che sono nel pianto, i miti, coloro che hanno fame e sete di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di giustizia, i perseguitati», scandisce l’Arcivescovo. «Ebbene, è un inno rovesciato, non sono questi i valori dominanti in ogni tempo, ma soprattutto in questo nostro attuale, tumultuoso per i grandi cambiamenti in atto. Non ci sono situazioni in cui sia impossibile il sì che compie la nostra libertà attraverso il dono di Cristo stesso, che asciuga le nostre lacrime».
Questo il “segreto” della santità cristiana, «di quella, straordinaria, dei Santi canonizzati e di quella quotidiana nostra e di tantissimi nostri cari, passati all’altra riva, che ci attendono».
Una santità che è, dunque, fonte di speranza e che non vale unicamente per la Comunità ecclesiale, per la Chiesa universale, per la nostra Chiesa ambrosiana che si appresta a vivere avvenimenti importanti. «È una speranza che vale per la società», scandisce Scola.
«Ieri abbiamo concluso Expo, un gesto che può ridare il gusto della cittadinanza comune soprattutto se insistiamo su temi decisivi come la lotta alla povertà, la sconfitta della fame nel mondo, la richiesta di un più giusto rapporto tra economia di produzione e finanziaria, di una giustizia piena di equità, di un nuovo stile di cittadinanza che sappia accogliere persone che vengono a noi per e dal bisogno. Una santità che è fonte di speranza per il mondo. Uomini e donne, attraversati dalla consapevolezza dell’amore di Cristo, diventano fattivi operatori di pace e di misericordia nelle nostre società e culture. E tutti noi sappiamo quanto, nella nostra Italia, ci sia bisogno di tali uomini che siano protagonisti a tutti i livelli, soprattutto nella vita pubblica».
D’altra parte, è la grande costituzione pastorale Gaudium et Spes, del Concilio Vaticano II – citata dal Cardinale –, a ricordare: “Tutto ciò che di bene il popolo di Dio può offrire all’umana famiglia scaturisce dal fatto che la Chiesa è l’universale sacramento della salvezza che svela e realizza il mistero dell’amore di Dio verso l’uomo”.
«Anche noi quindi, radicati nella granitica certezza che “se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?”, affrontiamo le circostanze religiose e civili che ci attendono praticando le virtù: fede, speranza e carità; prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, lo stile di vita del cristiano che assume la realtà tutta intera».
Un ultimo pensiero è per i martiri dei nostri giorni, i cristiani del Medio Oriente. «Molti di loro, per la fedeltà a Cristo, hanno perso tutto, anche la vita. Essi vengono a noi in tutto lo splendore della loro testimonianza di confessori della fede edificando, così, la nostra persona, la comunità ecclesiale, la fede e richiamandoci alla conversione».
Sono loro a «domandarci preghiera costante e aiuto effettivo», come si è reso evidente nell’appello risuonato appena pochi giorni fa, proprio tra le navate del Duomo attraverso le parole del Patriarca dei Maroniti i Libano, i cardinale Boutros Bèchara Raï.
Poi, a fine Celebrazione, la breve processione che, accompagnata dalle Litanie dei Santi, porta l’Arcivescovo e i concelebranti all’altare di Sant’Agata, dove il Cardinale benedice la reliquia con la maglia del beato Giovanni Battista Montini, insanguinata a causa di un colpo di kriss nell’attentato di Manila avvenuto il 27 novembre 1970.
Quasi a indicare un cammino di santità attraverso i beati arcivescovi di Milano, la reliquia rimarrà definitivamente presso l’altare, appunto, di Sant’Agata, allineato in sequenza con le sepolture dei beati Andrea Carlo Ferrari e Alfredo Ildefonso Schuster.