Redazione

di Paolo Cortesi
già segretario del cardinal Martini

Stendere alcune impressioni “a caldo” dopo la visita del Cardinale nel decanato di Legnano, appena conclusa e che è stata anche l’ultima, non è facile. Questo aspetto del ministero del vescovo è il più importante: egli è coinvolto in vario modo, ma sempre totalmente nel contatto con la vita delle parrocchie, sta in mezzo alla sua gente: laici, sacerdoti; incontra varie realtà ecclesiali: consigli pastorali e degli affari economici, catechisti, educatori fino al momento culminante della visita che è la celebrazione dell’Eucaristia.

Nel desiderio di far fronte ai numerosi impegni, di non trascurare nessuno e essere sempre più il Pastore che cammina con il suo popolo, l’Arcivescovo ha cambiato in questi anni il modo di condurre la visita pastorale.

Come segretario dal 1983 al 1990 ho avuto il dono e l’incombenza di programmare e preparare la visita in centinaia di parrocchie completando 22 decanati. In quegli anni l’Arcivescovo presiedeva personalmente tutti gli incontri in ogni parrocchia.

Nell’esperienza vissuta però da me dall’altra parte delle “barricata”, non come, in certo qual modo, visitatore, ma da visitato, mi sono accorto del cambiamento quanto al tempo della sua presenza, ma non all’intensità e alla profondità del suo personale coinvolgimento.

Infatti fin dalla prima sera (9 novembre 2001), all’apertura della visita pastorale nell’incontro con tutti i consigli pastorali del decanato, ho subito percepito di essere davanti a un uomo che, mentre spiegava il senso e la modalità di preparazione della visita, fondandola con abbondanza di testi della Scrittura e proponendola, perciò, come un evento innanzitutto spirituale, manifestava una freschezza, una vivacità interiore, direi quasi un entusiasmo, come se fosse alla sua prima visita.

Mi sono accorto che egli ha saputo mantenere viva la fiamma interiore della gioiosa consapevolezza di compiere un servizio come risposta a una chiamata, di amare il Signore dedicandosi, senza risparmio, alla crescita del suo popolo.

Alcuni mesi dopo quel primo incontro ho visto in televisione l’intervista di Enzo Biagi all’Arcivescovo. Alla domanda del giornalista: «Cos’è la virtù più grande di un prete?», l’Arcivescovo rispondeva: «Per me, direi: è l’ascolto; l’ascolto della Parola di Dio, l’ascolto degli uomini, l’ascolto benevolo, paziente e misericordioso».

Credo di trovare proprio in queste parole, che rivelano un costante atteggiamento interiore, la sorgente di quella freschezza e vivacità. L’Arcivescovo è l’uomo che non si è mai stancato di ascoltare. L’ascolto è oggi la forma forse più richiesta di prossimità e quella più difficile da trovare. Ascoltare è accogliere in sé l’altro, la sua storia fatta di gioie e di croci. Ascoltare è calarsi senza preconcetti nelle situazioni per sapervi scorgere la mano e il disegno di Dio. Ascoltare è accostarsi con il cuore e con gli occhi di Dio, che sa vedere le ferite nascoste dei singoli e delle comunità, ma che nello stesso tempo le sa guarire e sa invitare a guardare avanti facendo crescere, senza scoraggiamenti, il bene, il positivo presente ovunque.

E’ questo l’ottimismo che nasce dall’ascolto della Parola di Dio a lungo studiata, meditata, pregata e che conduce e forma all’ascolto dell’uomo. Ottimismo che si è percepito presente nell’incontro, in modo particolare per quel che riguarda la mia comunità, con il consiglio pastorale, durante il quale l’Arcivescovo ha dato prova di saper cogliere il bene e stimolarlo, e tuttavia indicare anche mete ancora da raggiungere e ritardi da eliminare non nascondendo le difficoltà, rivelandosi così capace di cogliere prontamente e animare il vissuto di una comunità.

Sono certo che sia proprio da questo costante esercizio di sintesi tra ascolto di Dio e ascolto dell’uomo e delle urgenze di una comunità, che nascono quelle proposte e intuizioni spirituali e pastorali caratterizzanti il magistero dell’ Arcivescovo, come un continuo richiamo a camminare fiduciosi e a guidare la vita di una comunità su sentieri di santità.

L’Arcivescovo come maestro di vita interiore, che esorta alla santità, alla «misura alta della vita cristiana ordinaria» (ha usato le parole di Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte), la gente l’ha percepito non solo durante l’omelia, ma direi soprattutto attraverso il suo modo di pregare, di celebrare, un modo che educa all’incontro con Dio e che introduce nella profondità del mistero. È ciò che deve fare ordinariamente un parroco in mezzo alla sua comunità. È ciò che l’Arcivescovo, come semplice parroco che passa di parrocchia in parrocchia, ha fatto nei molti, fecondi e non sempre facili anni del suo ministero a Milano.

Così tutti lo abbiamo sentito, accolto e amato. E proprio maestro di vita spirituale l’Arcivescovo si è rivelato ancora una volta nell’incontro con i sacerdoti concludendo la visita pastorale a Busto Garolfo. Commentando Giovanni 21, in modo particolare i versetti dal 13 al 23, siamo stati nuovamente invitati a camminare verso la santità, vista come meta da raggiungere non a forza di braccia, ma attraverso la purificazione che Dio opera anche mediante le difficoltà e talora le aridità del ministero.

In quel periodo ho lasciato la parrocchia per un altro incarico, e l’Arcivescovo mi ha detto: «Lasciamo insieme». Sì, lasciamo insieme. Ma ciò che egli mi ha posto nel cuore, e non solo nel mio, in questi lunghi anni di consuetudine di vita, è un seme che ha messo radici profonde e perciò continuerà a portare frutto.

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