Redazione
di Virginio Pontiggia
già segretario del cardinal Martini
«Dobbiamo fare la visita pastorale!». Tante volte persone, gruppi, istituzioni si sono sentiti rispondere così, quando si rivolgevano al Cardinale per qualche invito: non era possibile partecipare. Ed era vero! La visita pastorale è stata un impegno soverchiante tanti altri.
Nei periodi di più intensa attività, la visita pastorale si svolgeva contemporaneamente in sei decanati della diocesi, per una somma totale che andava dalle 100 alle 120 parrocchie da visitare durante l’anno. Il Cardinale voleva completare almeno una volta, durante il suo episcopato, la visita di tutta intera la diocesi. Così tutti i sabati e le domeniche, e diverse sere nella settimana, erano occupati da questo impegno.
Si può dire che la visita pastorale si sia trasformata in una occasione di prossimità a migliaia di persone e a tanti collaboratori. E’ stata occasione di prossimità con i suoi vicari episcopali.
Dobbiamo ricordare, in proposito, come avveniva la visita pastorale. A partire dai primi anni del suo episcopato, il cardinal Martini sperimentò vari modi di condurre la visita, dapprima sobbarcandosi in prima persona l’incontro con tutte le espressioni della vita parrocchiale. Ma quando si accorse che questo metodo non gli avrebbe consentito, se non in un arco di tempo lunghissimo, la visita dell’intera diocesi, chiamò a più stretta collaborazione i vicari episcopali. Toccò dunque a loro precedere il Cardinale nelle parrocchie, incontrando da vicino e con ampiezza tutti i gruppi e le espressioni pastorali, caritative, culturali.
A loro volta i vicari episcopali incontravano il Cardinale, presentando relazioni e documenti raccolti, offrendo una panoramica della situazione riscontrata, colloquiando dei problemi e delle prospettive individuate per il futuro. L’Arcivescovo incontrava così la comunità, arricchito da tutte queste osservazioni dei suoi collaboratori e poteva tracciare e riservare per sé il compito della sintesi finale di tutto ciò che era emerso. E’ indubbio che questa modalità di svolgimento della visita suscitava più da vicino la collaborazione dei suoi vicari.
Essi erano chiamati a condividere più da vicino le preoccupazioni pastorali del vescovo, a farsi carico delle sue direttive, a sentire nel cuore il peso e la gioia del governo di una vasta arcidiocesi. In questo senso la visita pastorale condotta dal cardinal Martini è diventata certamente occasione di prossimità, di vicinanza, di condivisione con i suoi collaboratori più stretti. È diventata scuola di educazione alla pastoralità.
Le visite sono state inoltre occasione di prossimità ai sacerdoti e ai consigli pastorali delle singole parrocchie visitate. Il Cardinale era attento innanzitutto ai sacerdoti. Dedicava loro del tempo per un incontro personale in Arcivescovado; ma soprattutto mi ha sempre colpito il modo affettuoso e partecipe con il quale egli si rivolgeva loro. Sempre, l’inizio di ogni omelia era dedicato al saluto al parroco e agli altri sacerdoti e sempre Martini sottolineava gli aspetti positivi della loro presenza, il loro affetto e il loro amore per il popolo.
Anche quando era noto che esisteva qualche contrasto o qualche difficoltà, il Cardinale metteva in luce l’aspetto di dedizione e di vicinanza soprattutto del parroco alla sua popolazione. Anche se c’era qualcosa da correggere, in primo piano venivano sottolineati gli aspetti positivi. «Il vostro parroco, che vi ama tanto…»: era un po’ il ritornello, che esprimeva in ogni caso la stima e la vicinanza del Cardinale ai sacerdoti.
Inoltre il Cardinale era attento ai più diretti e impegnati collaboratori di ogni parrocchia: i consigli pastorali. Era l’incontro che si riservava in ogni caso, anche se per breve tempo. Voleva essere questo un segno di stima, di ringraziamento, di fiducia, di incoraggiamento. Di incoraggiamento soprattutto.
Mi ha sempre colpito come il Cardinale sapesse rilanciare in avanti, in termini positivi, anche le difficoltà che spesso gli venivano sottoposte: le sapeva trasformare in possibilità di più solerte impegno e di fede nella vicinanza e nella forza del Signore. Esortava spesso i consigli pastorali a non pretendere di risolvere in breve tempo tutti i problemi: l’importante – diceva – era essere comunità cristiana vera, segno autentico di Dio, casa visibile a tutti, perché tutti potessero entrarvi, se avessero voluto, quando avessero voluto!
Le visite sono state poi occasione di prossimità alla gente tutta. Questo era il momento della festa e della gioia, dell’irruzione dell’entusiasmo dopo il momento liturgico. Era il momento più spontaneo, in cui tutta la gente cercava di avvicinarlo e di salutarlo. E, benché il tempo sempre premesse, il Cardinale si riservava la calma per salutare con pazienza tutti coloro che gli si stringevano attorno. Penso che alla base ci fosse la volontà di farsi conoscere e vedere da vicino dalla sua gente.
Quando introduceva la visita pastorale decanale, convocando tutti i sacerdoti, le religiose e i religiosi, i consigli pastorali e i vari collaboratori del decanato, per spiegare il senso della visita pastorale che avrebbe iniziato, soleva portare la citazione di una lettera di una bambina, che gli aveva scritto esprimendo il desiderio di poter conoscere meglio il ministero del vescovo in mezzo alla sua gente.
Certo – diceva – ci sono gli strumenti della comunicazione sociale che consentono ormai di percepire il proprio vescovo non più come uno sconosciuto: ma lo strumento della visita pastorale rimaneva una strada privilegiata da non trascurare per una conoscenza diretta. E il Cardinale voleva seguirla fino in fondo, concedendosi alla sua gente e alla festa popolare.
La visita era infine seguita da una lettera inviata qualche tempo dopo alla parrocchia, in cui il Cardinale riassumeva le sue impressioni e le sue indicazioni dopo la visita pastorale. Era solo uno scritto, ma era denso dell’affetto maturato nel contatto immediato e personale con la comunità. Il Cardinale era diventato davvero, come concludeva nella lettera «Vostro nel Signore».