Redazione
Dall’aiuto alla povertà alla considerazione del migrante come metafora di ogni persona umana, è questo il percorso a cui ci educa la pastorale dei migranti. Un progetto ricco di proposte per un comune obiettivo: la conversione della comunità. Ne parla don Giancarlo Quadri, responsabile dell’Ufficio diocesano per la pastorale dei Migranti.
di Rosangela Vegetti
La pastorale verso i migranti, come azione specifica della Chiesa di Milano rivolta a quanti sono giunti nel territorio ambrosiano da altre parti del mondo, inizia negli anni ’80, prevalentemente nella forma di aiuto ai bisogni primari (alloggio, vestiario, cibo, lavoro), affidata alla Caritas. Si trasforma in pastorale vera e propria intorno agli anni ’97-’98, e apre l’Ufficio pastorale dei migranti il 1 gennaio del 2001.
Dalla risposta al bisogno, dunque, al progetto di una completa cittadinanza sul territorio si articola un percorso pastorale molto complesso…
Certamente, perché se invece di organizzare solo dei servizi – che pure sono cosa necessaria – si cerca nella parola di Dio il senso e il valore della persona migrante e della sua accoglienza, si allarga di molto l’orizzonte. La prospettiva infatti diventa: in questo mondo siamo tutti migranti, tutti camminiamo verso una patria, i cammini sono diversi, i modi di compiere questi cammini sono diversi, però dobbiamo cercare di camminare insieme.
Le stesse comunità parrocchiali, sollecitate dalla presenza dei migranti, diventano protagoniste di una nuova pastorale?
La prima esigenza e linea di lavoro della pastorale dei migranti è proprio quella diretta alle comunità cristiane perché scorgano il positivo della migrazione e possano cambiare mentalità: il migrante non è uno di cui dopo un po’ ti stufi, e quindi aspetti che se ne torni a casa, ma è un compagno di cammino. Anzi, è l’immagine di te in quanto tale, di come dovrebbe essere ciascuno di noi che non cerca una patria stabile qui, che non c’è, ma che cerca veramente qualcosa d’altro. La pienezza del suo esistere. Per cui il lavoro verso le comunità cristiane, le parrocchie, si articola in tanti punti, dal risveglio sulla parola di Dio, alla passaggio al consiglio pastorale e non più a Caritas della cura di migranti, alla preparazione di operatori in senso multiculturale e interculturale. Per incominciare ad attuare l’incontro tra le diverse tradizioni culturali bisogna ampliare i programmi con attività e persone che producano tali innovazioni. Tra i migranti ci sono tanti catechisti con forti esperienze nei loro Paesi, bravi a tenere i ragazzi, e che potrebbero ben fare negli oratori. Poi c’è il lavoro delle scuole di italiano per stranieri nelle parrocchie, dove non è più semplicemente l’impegno gratificante di qualche insegnante che fa del volontariato, ma è un esprimere una visione diversa per una scuola che diventa altro, via di comunicazione, di conoscenza reciproca, di inserimento.
Ma la pastorale dei migranti si rivolge anche a loro, ovviamente, e con quali proposte?
Gli stranieri immigrati sul territorio diocesano si sono strutturati in gruppi nazionali in maniera spontanea, e noi abbiamo contribuito ad organizzare 24 comunità (le ultime sono l’albanese e la romena) che viaggiano molto bene; sono in prevalenza cattoliche, ma molte con un’apertura che è già ecumenica perché accolgono anche non cattolici e fedeli di altre religioni. E questo deve essere un primo passo, rispondente al giusto desiderio di ritrovarsi tra connazionali, ma poi c’è il discorso dell’inserimento nelle parrocchie perché non vogliamo costruire ghetti. E questo è il maggior lavoro per noi sacerdoti. Si parte dal lanciare un programma a settembre, a elaborarlo con varie riunioni fino all’Epifania con la messa in Duomo, per proseguirlo in progetti misti italiani-stranieri nella Quaresima, e lo stiamo facendo adesso, per arrivare ad organizzare la grande festa delle genti che è la Pentecoste. Quest’anno sarà nella Prepositurale di San Vittore a Rho.
Sensibilizzazione, liturgia, catechesi, formazione: un lavoro che richiede molta programmazione e risorse umane…
Il nostro Ufficio opera per la sensibilizzazione sul territorio diocesano, coordina iniziative e proposte a livello di comunità parrocchiali, svolge la cura ordinaria pastorale delle comunità nazionali di migranti – e altre che sorgeranno – e contemporaneamente cerca di costruire dei ponti verso la comunità territoriale. Inoltre, in collaborazione con l’ufficio Missionario, e quello per il Dialogo interreligioso, ci rivolgiamo anche ai non cristiani, in quanto migranti, e insistiamo perché ci si prenda cura di questa prospettiva dato che le altre religioni le stiamo conoscendo grazie proprio alla presenza reale dei migranti. Per favorire la comunicazione e l’azione pastorale abbiamo 15 cappellani di diverse lingue e nazionalità, est-europei, africani e asiatici, inseriti in diocesi, che curano le rispettive comunità nazionali e ci riuniamo ogni mese per valutare il da farsi. In più, tutte le comunità hanno un consiglio pastorale e 5 volte l’anno riuniamo tutti i responsabili – preti, suore e laici, circa un centinaio di persone – per una verifica d’insieme. Il card. Martini ebbe a dire che l’immigrazione era il tocco della provvidenza per la nostra conversione e la pastorale dei migranti cerca di metterlo in pratica.