Il Cardinale, riprendendo la Visita Pastorale “feriale” è stato tra oltre mille fedeli del Decanato Cantù. Nel teatro Fumagalli di Vighizzolo gremito, ha delineato la grande sfida dell’oggi. «Portate la bellezza del Vangelo nella vita quotidiana»
di Annamaria BRACCINI
Più di 114.000 abitanti, venticinque parrocchie, di cui cinque Comunità Pastorali e tre Unità. Una realtà viva che si estende sul territorio di tredici Comuni, per un territorio complessivo di ottantaquattro Km quadrati. È il Decanato Cantù-Mariano Comense in cui arriva, circondato da grande affetto, il Cardinale, riprendendo la sua Visita Pastorale dopo la pausa dovuta al Sinodo sulla Famiglia.
E così è il Decanato stesso presentarsi in modo semplice e informale con un video amatoriale – ma assai ben confezionato –, “feriale” come vuole essere la Visita stessa, fatto dei visi, dei saluti, dei brevi spezzoni di vita di giovani, anziani, sacerdoti. Come dice il decano don Arnaldo Mavero, salutando l’Arcivescovo dopo un intermezzo musicale, «ciò che stiamo vivendo è un dono grande, un aiuto prezioso e fecondo sul cammino di discepoli che vogliono solo amare e sentire come Cristo».
Nel Teatro Fumagalli di Vighizzolo dove si svolge l’incontro (seconda Sala della Comunità, per ampiezza, della provincia di Como) e nella tensiostruttura collegata dall’oratorio, sono oltre un migliaio i fedeli che ascoltano l’Arcivescovo in quella che è, nota lui stesso, «una bella assemblea ecclesiale, non una riunione, dove anche per me è un dono potervi incontrare, avere “un faccia a faccia”, per approfondire ciò che ci sta a cuore».
L’Arcivescovo spiega il senso della scelta voluta con la modalità della Visita Decanale in atto e che terminerà a maggio 2017: «abbiamo rovesciato le fasi normali della Visita pastorale. Di solito il Vescovo chiude, mentre abbiamo deciso che io sia tra voi all’inizio, perché, poi, i Vicari di Zona, di Settore e i Decani elaborino quanto emerge da questo incontro». Insomma, un sistema di sinodalità e capillarizzato che vede come ultimo passo il diretto coinvolgimento di tutta la Comunità per intraprendere nuovi percorsi adatti alle necessità evidenziatesi, per «vivere ciò domenica celebriamo, andando incontro a ogni nostro fratello uomo».
I quattro pilastri fondamentali, legati alla riscrittura del grande passaggio di Atti.2, 42-47 – educazione al pensiero di Cristo, all’amore e alla gratuità, partecipazione all’Eucaristia illuminata dalla Parola di Dio in modo che sgorghi la capacità di annunciare la bellezza della vita cristiana – sono il fili d’oro di fede che legano l’intera riflessione. «Pensiamo allo sviluppo tecnoscienze, all’educazione dei figli, al rapporto con il lavoro, al modo di affrontare la gioia e il dolore; pensiamo alle guerre, alle fatiche di edificare una società giusta in una realtà diventata plurale dove che si incontrano e si scontrano visoni del mondo, a volte, opposte. Cosa chiede tutto questo oggi al cristiano, cosa dobbiamo cambiare nel nostro noi?».
Un interrogativo sempre più urgente, soprattutto considerando ciò che già nel 1934, con una forza profetica straordinaria, aveva denunciato Giovanni Battista Montini, giovane assistente, allora, della Fuci, ossia l’emarginazione di Gesù da parte della società contemporanea. Un «fossato tra fede e vita ormai drammatico e sotto gli occhi di tutti, che è il vero problema attuale dell’annuncio e della testimonianza».
Lo nota Scola: «siamo nella situazione in cui vi è ancora un “resto”, nel senso biblico del parola, di popolo che vuole vivere e lo fa con più consapevolezza la fede, ma si fa maggiore fatica a portare il valore dell’Eucaristia nell’esperienza di ogni giorno»
Il problema, suggerisce il Cardinale, «è affrontare il concreto con il pensiero di Cristo appunto perché tendiamo a pensare “mondanamente”, secondo la mentalità dominante. Ma se non affrontiamo la “stoffa” del quotidiano come figli di un Dio incarnato, questa frattura si dilata ancora di più, producendo quello smarrimento per cui molti si allontanano come se il cristianesimo fosse una bella favola del passato e non la realtà sostanziale».
Poi, il via alle domande della gente, come Paolo, facente parte della Pastorale familiare decanale, che si chiede «come favorire la presa di coscienza del ruolo di protagoniste nelle famiglie e nelle articolazioni ecclesiali, e come inserire questo nella complessità delle Comunità pastorali». Piero della Caritas decanale pone l’interrogativo relativo alle modalità attraverso cui qualificare l’attività caritativa per non «cadere nella filantropia», vivendo la logica dell’autentica carità cristiana e della Lettera pastorale, “Educarsi al pensiero di Cristo”. Un genitore, Mario dell’Agesc di Como, si chiede in che maniera «sostenere e far considerare le scuole cattoliche come un servizio all’intera società».
«La preoccupazione di sottolineare la famiglia come soggetto di evangelizzazione e non solo oggetto di cura è stata fatta propria dal Sinodo, tanto che dieci dei tredici Circoli minori hanno evidenziato questo tema», racconta il Padre sinodale Angelo Scola. «Il modo migliore per essere soggetto dell’annuncio di Gesù significa, superando il “fossato” tra fede e vita, sperimentare l’esistenza con il pensiero di Cristo. Se in ciascuna realtà, si rincomincia a vivere con più energia, pur nelle fatiche, secondo Cristo – anzi, “pensando Lui attraverso tutte le cose”, come diceva Massimo il Confessore –, questa è la via maestra».
Non a caso, sono ben diciotto i modi, evidenziati nella Lettera Pastorale, con cui ogni famiglia può iniziare a vivere, come soggetto, la fede. Chiaro l’obiettivo: «la famiglia è una realtà che fa parte della costituzione della Chiesa e se non vive così si disincarna, mentre se essa affronta il quotidiano con tali sentimenti, necessariamente cerca la stabilità e la comunità, sviluppando l’Eucaristia che è il modo con cui il Signore si dona a noi in modo totale».
È necessaria, dunque, quella risposta complessiva, non settoriale che, infatti, permette anche di rispondere sui criteri attraverso i quali essere promotori del farsi prossimo «con la sconvolgente potenza della carità che converte il cuore».
«Bisogna che chi propone il cammino di carità, viva lui per primo tale atteggiamento e abbia come riferimento fisso il Crocifisso glorioso. Occorre chiarezza nella proposta e apertura a tutti in una continua educazione al gratuito perseguita a ogni livello. Questo dobbiamo insegnare specie ai giovani, nell’impegno semplice e quotidiano con l’unico scopo di dare un poco di se stessi agli altri, senza pretese. Guai se le Caritas fossero solo luoghi di delega»
Da qui una prima, stringente, raccomandazione. «Fate rete, non solo tra voi, allargate l’orizzonte anche nella dimensione culturale a livello diocesano», con i Centri culturali quale «voce pubblica di accoglienza delle domande della vita», le Sale della Comunità, gli incontri. Gli strumenti “per fare rete”, d’altra parte, in una Chiesa ampia e vivace come la nostra, ci sono e sono tanti: per esempio, annuncia l’Arcivescovo, i “Dialoghi di Vita buona” non saranno solo a Milano, ma i loro contenuti verranno portati in diverse zone della Diocesi.
Senza mezzi termini anche le parole sulla scuola: «Non dobbiamo desistere dal pretendere la libertà di educazione. Siamo entrati in un tempo nel quale si legifera su tutto, che lo si faccia anche su questo. Dobbiamo però essere avveduti, superare certi pregiudizi che sopravvivono anche nei nostri ambienti: non è giusto che ci sia la sola scuola di Stato, chi la responsabilità deve governare e non gestire tutte le scuole. Farsi promotori di un’effettiva libertà di educazione può essere una modalità di impegno della famiglia come soggetto così come l’abbiamo delineata. Chiediamo una libertà più ampia».
Infine, ancora sono i giovani che chiedono al Cardinale come è nata la sua vocazione e come ha vissuto, in prima persona, l’oratorio. «Per me è stata un’esperienza fondamentale e bellissima, perché si educa per osmosi, si educa per testimonianza che non è solo esempio. L’oratorio è stato il luogo di quella educazione, in un’unita tra la famiglia e la scuola. Ricordiamo che la fede valorizza ogni aspetto della personalità. Oggi siamo troppo preoccupati delle strutture e della strategia, invece, dobbiamo vivere l’amore di Cristo con semplicità. La realtà è la mano di Dio nella mia vita, ecco perché l’esistenza è vocazione: questa assemblea è una circostanza che nasce da un rapporto tra noi che può essere l’inizio di un rapporto più potente con il Signore».
Infine, prima della preghiera, del saluto portato ai fedeli che hanno seguito l’incontro nella tensiostruttura esterna e della benedizione alla deliziosa Cappellina “San Giovanni Paolo II” dell’oratorio San Giuseppe, l’Arcivescovo parla di immigrazione.
«La storia va avanti per processi che accadono e che noi dobbiamo orientare in maniera consapevole e critica, ma che non possiamo bloccare. Sta nascendo il nuovo cittadino europeo e della metropoli lombarda: come cristiani accogliamo tutto questo per come possiamo essere solo il buon samaritano. È poi lo Stato che deve fare di più in coordinamento con l’Europa e la realtà internazionale. Si tratta di avviare un paziente lavoro di educazione sulla questione, ma ci deve essere la politica. Sarà la società civile, noi cioè, che alla fine apriremo la strada della nuova Europa. Il Padre conduce sempre la famiglia umana e se questo sta accadendo, certo con equilibrio e ponendo regolamenti oggettivi, dobbiamo accettarlo come espressione della volontà di Dio».