Redazione
Il 12 maggio 1935 veniva inaugurato il nuovo Seminario Arcivescovile voluto da Pio XI per la grande diocesi di Milano. Martedì 10 maggio sarà celebrata la tradizionale "Festa dei fiori" con una messa presieduta dall’emerito Arcivescovo il cardinale Carlo Maria Martini che festeggia i 25 anni di episcopato.
di monsignor Mario Delpini
Rettore Maggiore Seminario Arcivescovile di Milano
Tra i preti che visitano il Seminario di Venegono Inferiore, si raccolgono reazioni contrastanti: c’è chi ritrova in ogni angolo un immediato richiamo a persone ed eventi che hanno segnato gli anni della giovinezza e chi ha l’impressione che tutto sia cambiato. Ma chi ci vive che aria respira?
Mi pare che in Seminario si riconosca la presenza di un’originalità, apprezzata e custodita con la semplicità ordinaria della convinzione. I seminaristi, infatti, vivono e amano scelte che risultano originali, particolarmente in questi anni: non c’è più l’affollarsi di classi numerose che convinse in anni passati all’edificazione di grandi spazi e alla moltiplicazione delle sedi.
Il numero elevato significava che in molte parrocchie il seminarista condivideva il suo cammino con altri seminaristi, era inserito in un contesto che apprezzava la sua scelta e la trovava normale e promettente, riceveva dai suoi preti la persuasione che lo aspettava un ruolo ben definito e riconosciuto da tutti, un impegno di lavoro intenso e apprezzato dalla gente, si impegnava per una decisione definitiva in un contesto in cui la definitività era desiderata da tutti, come una “buona sistemazione” nel matrimonio o nella vita consacrata.
Il numero ridotto significa che l’approdo di un giovane al Seminario è l’esito di un cammino percorso da solo, in un contesto in cui la scelta, per quanto spesso circondata di stima e di ammirazione, èsentita come singolare, persino incomprensibile, orientata a una vita interpretata come un affaticarsi per risposte stentate e risultati incerti, con una consacrazione definitiva che suscita più timore che desiderio.
L’originalità dei seminaristi, ad ogni modo, non è di essere pochi, ma di essere contenti, contenti proprio per quegli aspetti che nell’“aria che tira” risultano meno di moda: infatti i seminaristi che progressivamente si avvicinano al ministero sono lieti di offrire la loro vita per servire, piuttosto che per fare carriera, sono lieti di consacrarsi definitivamente, piuttosto che di vivere di esperienze, sono lieti di assumersi responsabilità di fronte alle comunità, piuttosto che di rifugiarsi in un rassicurante privato.
Il fatto che siano lieti e disponibili per questo, non significa che ne siano capaci: lo impareranno se e perché troveranno altri preti con cui condividere la missione e troveranno comunità cristiane che nelle loro vicende custodiscono l’attesa del Regno e il desiderio dell’evangelo, e non solo la pretesa di disporre di un servizio religioso.
Percepisco, dunque, questa originalità e insieme con la gioia e la persuasione di ricevere una grazia si insinua un senso di solitudine. I seminaristi avvertono la difficoltà a comunicare ciò che li rende contenti, percepiscono un contesto distratto e sufficiente rispetto all’annuncio di cui sono incaricati; soffrono di una consapevolezza di sproporzione, persino di impotenza.
D’altra parte la persuasione che li ha indotti a intraprendere questa strada non ha le sue radici nel consenso, ma in un’ esperienza spirituale che li potrà custodire nella loro originalità e sostenere in questo tempo di semina, che sembra di sperpero e invece è tempo di speranza.
C’è però un senso di solitudine che potrebbe essere guarito. Il fatto che molte comunità parrocchiali da tempo non abbiano la presenza di un seminarista finisce per rendere il Seminario un oggetto misterioso anche per molti preti e molta gente che non ha ragione per venire in Seminario, non ha curiosità per sapere quale sia l’itinerario e come sia la comunità in cui vive e si forma una persona conosciuta e stimata.
Mi sembra che sia venuto il momento in cui la stima per i seminaristi, l’apprezzamento per il ministero del prete nelle comunità e la consapevolezza della sua importanza, il riconoscimento della funzione simbolica che la scelta di entrare in Seminario abbia per tutti i ragazzi, gli adolescenti e i giovani, debbano indurre a un più cordiale rapporto, a una più intensa condivisione, a una più appassionata attenzione al tema delle vocazioni. Ne deve nascere, credo, una solidarietà più evidente tra le comunità parrocchiali, i gruppi giovanile, e il Seminario, i seminaristi e ciò che essi sono e dicono alla Chiesa.